Sfilata celebrativa delle formazioni partigiane attraverso il centro di Modena

Il 30 aprile 1945 si tiene nel centro del capoluogo la sfilata celebrativa della vittoria della Resistenza modenese, con circa 7000 partigiani partecipanti.

In piazza Mazzini viene allestito il palco, che ospita le autorità provinciali e tra gli altri il generale Angelo Cerica del Corpo d’armata territoriale di Bologna, il generale Edgar Erskine Hume del Comando della V Armata americana e il primo sindaco di Modena dopo la liberazione, nonché partigiano, Alfeo Corassori.

Alla testa del corteo sfilano i partigiani del Battaglione “Achille”, della III Zona (il nonantolano), per il contributo da loro fornito alla liberazione di Modena. Seguono i reparti della divisione Modena I, quelli della divisione Modena Armando, le partigiane dei Gruppi di Difesa della Donna, gli esponenti del Fronte della Gioventù, il materiale catturato e infine le brigate della pianura.

Al termine della parata le formazioni consegnano le armi agli Alleati. A fine maggio nel modenese saranno stati depositati due cannoni, 150 mitragliatrici, 9550 fucili e carabine: in totale 9702 pezzi. Non vengono fornite tutte le armi, anzi da parte dei partigiani si tenta di lasciare alle autorità solamente quelle di minor qualità.

Alla sfilata non partecipano tutte le formazioni: molti reparti sono impegnati in compiti di polizia o di rastrellamento del territorio, sia in montagna sia in pianura.

In seguito alla parata vengono radunati in prefettura a Modena i comandanti partigiani per la consegna dei brevetti di patriota. In quella circostanza, il generale Hume elogia il coraggio e l’impegno dei partigiani italiani, che avevano aiutato la liberazione del paese. Porge poi i suoi particolari ringraziamenti ai partigiani di Modena per il valore della loro lotta. Alessandro Coppi “Tommaso”, presidente del Comitato di Liberazione Nazionale provinciale della Pianura, coglie l’occasione per sottolineare che la lotta partigiana ha conferito all’Italia la dignità e il diritto di essere ascoltata a livello internazionale.

Da sole, le operazioni della liberazione (perciò dal 10 aprile 1945 in poi) erano costate alla provincia di Modena 129 morti e 165 feriti. Erano stati uccisi 1176 soldati tedeschi, mentre ne erano stati catturati 3691.

Nel modenese, le operazioni partigiane della liberazione erano state un successo, innanzitutto perché il capoluogo era stato liberato prima dell’arrivo degli Alleati. Si erano ingaggiati poi scontri rilevanti con i tedeschi in ritirata, era stata evitata la distruzione da parte tedesca di molti ponti, impianti civili, industriali e pubblici di rilevanza. Inoltre, il numero di prigionieri e di materiale bellico raccolto era stato importante. Tutto questo aveva agevolato e velocizzato l’avanzata alleata verso nord. Il contributo dei partigiani in tal senso fu esplicitamente riconosciuto come fondamentale da parte degli stessi Alleati.

Nei mesi successivi alla guerra la commissione regionale per il riconoscimento delle qualifiche di partigiano e di patriota, alle dipendenze della Presidenza del Consiglio dei ministri, assegna tali qualifiche a 19318 modenesi, così suddivisi: 13722 partigiani, 1622 partigiane, 2436 patrioti, 362 patriote, 269 partigiani combattenti fuori provincia, 907 partigiani combattenti all’estero.


Liberazione partigiana degli altri centri della provincia di Modena

La mattina del 21 aprile i primi reparti corazzati alleati entrano a Castelfranco Emilia, dopo alcuni combattimenti insieme ai partigiani locali. Si dirigono poi su San Cesario, Spilamberto e Nonantola.

A Nonantola i partigiani del Battaglione “Achille” della Brigata “Tabacchi” liberano il paese la mattina del 21 insieme a partigiani del Distaccamento “Cinno” della Brigata “Matteotti” e a paracadutisti italiani del Battaglione “Nembo”, lanciati per errore nella zona. Nel pomeriggio arrivano le truppe americane; tra la sera di quel giorno e la mattina del successivo viene completata la liberazione del territorio, dopo un combattimento impegnativo di partigiani e paracadutisti del “Nembo” in località Palazzina di Stuffione contro soldati tedeschi intenti a far saltare un deposito di munizioni.

Nella I Zona, quella del Carpigiano, la Brigata “Diavolo” non riesce a partecipare alla liberazione di Modena come previsto in origine, a causa del passaggio di ingenti forze tedesche. Tra il giorno 22 e il 23, allora, i partigiani della Brigata “Diavolo” insieme ai gruppi democristiani liberano Carpi e le zone limitrofe. In tarda mattinata del 22, con i tedeschi ancora presenti in città, si tiene a Carpi una manifestazione femminile, e nel pomeriggio iniziano gli scontri che portano alla liberazione della città entro sera, quando arrivano gli alleati. Si dirigono poi verso Modena, dopo aver sostenuto un duro combattimento contro postazioni tedesche sul Secchia presso Ganaceto, ma quando vi giungono la città è già libera.

Tra il 22 aprile e le prime ore del 23, dopo intensi combattimenti soprattutto presso Disvetro, San Giacomo Roncole e Camposanto, vengono liberate anche le località della II Zona partigiana, quella della Bassa Modenese, dai partigiani della Brigata “Remo”, la quale aveva ottenuto di non partecipare alla liberazione di Modena ma di concentrarsi su Mirandola e le zone limitrofe.

L’avanzata alleata nelle zone montane e pedemontane è più lenta rispetto alla pianura, e ciò fa sì che anche le liberazioni partigiane vengano rallentate. Particolare importanza assume la zona a sud-ovest della città di Modena, dove si ammassano i reparti tedeschi in ritirata verso il reggiano attraverso il Secchia.

A Vignola tra la sera del 22 e la mattina del 23 i partigiani della formazione cattolica comandata da Claudio Leonelli “Valerio” liberano il paese e combattono con qualche retroguardia tedesca. La mattina del 23 gli Alleati fanno il loro ingresso in paese.

A Spilamberto si sviluppano intensi combattimenti tra tedeschi e partigiani della Brigata “Casalgrandi”, poi aiutati dalle truppe alleate che il 22 aprile in tarda mattinata entrano in paese.

Nelle campagne tra Sassuolo, Formigine e Magreta si concentra il 22 aprile un grande numero di soldati tedeschi, in attesa di passare il Secchia. Passato il fiume, lasciano qualche postazione difensiva che mette in difficoltà le avanguardie alleate la mattina del 23. Nel frattempo, il 23, i partigiani della Brigata “Italia” e della Brigata “Zoello Monari” rastrellano i pochi tedeschi rimasti. Nel pomeriggio viene quindi liberata anche Formigine.

La sera del 23 aprile tutta la provincia di Modena è stata liberata.


Liberazione partigiana della zona Appenninica e Pedemontana della Provincia di Modena

Il 9 aprile 1945 inizia in Romagna l’offensiva finale alleata. Pochi giorni dopo, il 14, comincia l’attacco anche al settore centrale della Linea Gotica. Il paese di Montese è attaccato e conquistato dai soldati della Força Expedicionária Brasileira (FEB), che devono tuttavia fermarsi davanti alle difese tedesche sulle montagne più alte, prima di poter avanzare verso Zocca e successivamente verso Sassuolo e la pianura reggiana.

Il 19 aprile i partigiani della Divisione Modena Armando, dislocati al fronte insieme alle truppe alleate, conquistano le posizioni tedesche sul monte Cimone, presso Cima Tauffi e sul monte Lancio. La Brigata Folloni, reparto della Divisione, libera Fanano. Il 21 aprile la Brigata Costrignano, sempre parte della Divisione, entra a Sestola e Montecreto. Pavullo viene liberata la mattina del 22 aprile dalle brigate Italia e Dragone. L’obiettivo della Divisione Modena Armando sarebbe stato quello di liberare Modena, ma non fa in tempo: la città viene già liberata dai partigiani il giorno 22, perciò la Divisione si ferma a Maranello.

Tra il 18 e il 19 aprile anche le formazioni della Divisione Modena I (Modena Montagna) si attivano. Il distaccamento Scoltenna ferma i tedeschi, intenzionati a far esplodere la diga di Riolunato. Nella notte del 20 aprile un battaglione della Brigata Italia, con elementi del Distaccamento Scoltenna e della Brigata Dragone, si reca a Pievepelago ad accogliere la resa di un reparto tedesco di guastatori.

Tra il 20 e il 21 aprile la Divisione Modena I riceve l’ordine di avanzare subito verso Modena, passando dalla sponda reggiana del fiume Secchia per evitare le difese tedesche tra Prignano e Serramazzoni. Il Comando della Divisione tuttavia elabora un piano diverso, che prevede l’attacco alle postazioni difensive tedesche prima tra Prignano e Lama Mocogno, e poi tra Sassuolo e Maranello. La discesa però è molto lenta, probabilmente perché il Comando della Divisione preferisce non rischiare, dato l’insuccesso e il mancato supporto alleato durante il tentato attacco ai presidi tedeschi del 10 aprile.

Seppure con tempi lunghi, procede comunque la liberazione delle località prima montane e poi collinari. Tra il 22 e il 23 alcuni gruppi delle brigate Scarabelli e Tassoni occupano Moncerrato, San Pellegrinetto e Faeto; la mattina del 23 entrano a Serramazzoni. Reparti delle brigate Dolo e Allegretti, del Raggruppamento di Brigate Aristide, del Battaglione Zambelli e della Polizia Partigiana iniziano a scendere su Sassuolo. Vi fanno ingresso nella tarda mattinata del 23 aprile dopo alcuni combattimenti, insieme a partigiani reggiani e al Battaglione Zetti della Brigata Costrignano.

Nel frattempo le brigate Speranza e Stop, situate a nord delle posizioni tedesche, ingaggiano scontri contro reparti di retroguardia tedesca, catturando 250 prigionieri.

Il giorno 23 queste due brigate, seguendo gli ordini, si dirigono verso Modena, insieme a gruppi sparsi di altre formazioni. La città era già libera: avrebbero dovuto ricoprire compiti di polizia. Il 24, tuttavia, ricevono l’ordine di fermarsi.

Né la Divisione Modena Armando né la Divisione Modena I (Modena Montagna) possono quindi partecipare alla liberazione del capoluogo della provincia, come avrebbero desiderato. Le cause sono da imputare a tre fattori essenzialmente: la prudenza dei Comandi di queste formazioni partigiane dopo i recenti avvenimenti, la scarsa resistenza dell’esercito tedesco e, di conseguenza, la rapidità dell’avanzata alleata.


Preparazione della liberazione partigiana della città di Modena

Da fine marzo 1945 si inizia a discutere presso il Comando di Zona di Modena in merito al piano di insurrezione e di liberazione della città. La prima versione prevede il frazionamento del centro cittadino in quattro aree, due a sud e due a nord della via Emilia, che verrebbero assegnate rispettivamente alla Divisione Modena I (Modena Montagna) e alla Divisione Modena II (Modena Pianura). Il Comando di quest’ultima, tuttavia, non è d’accordo: sostiene che le formazioni della montagna non farebbero in tempo a partecipare perché troppo lontane; propone invece di dispiegare solamente le forze della pianura. Il Comando di Zona accoglie questa proposta; dispone però anche la partecipazione di parte del Raggruppamento di Brigate “Aristide”, dislocato in montagna ma formato da combattenti della pianura.

Il Comando della Brigata “Remo”, reparto che raccoglie tutti i partigiani della II Zona (la Bassa modenese) lamenta però difficoltà ad organizzare il trasferimento delle proprie forze fino a Modena per l’insurrezione, data la distanza e la presenza di truppe tedesche lungo il percorso. Richiede pertanto di rimanere nella propria zona, per concentrarsi sulla liberazione di Mirandola e dei paesi vicini.

Il 21 aprile è pronto un altro piano, il quale prevede ancora la divisione del centro cittadino in quattro settori: il primo, a nord-est, affidato alla Brigata “Walter Tabacchi”; il secondo, a nord-ovest, affidato alla Brigata “Diavolo”; il terzo, a sud-ovest, affidato alla Brigata “Mario” e ai partigiani del Raggruppamento di Brigate “Aristide”; il quarto, infine, dislocato a sud-est e affidato alle brigate “Ivan” e “Casalgrandi”.

Questi reparti avrebbero dovuto agire di concerto con la Brigata “Mario Allegretti”, già presente in centro storico insieme al Distaccamento “Giuseppe” della Brigata “Tabacchi”, che si sarebbe preventivamente impadronita, grazie a complicità interne, di alcuni punti chiave.

La decisione dell’insurrezione viene presa autonomamente dai comandi partigiani di Modena, senza alcun ordine dal CUMER (Comando Unico Militare dell’Emilia Romagna) o dalle Missioni alleate, nel pomeriggio del 21 aprile, quando è già iniziata la ritirata tedesca verso il Po. La sollevazione è stabilita per il giorno successivo, il 22 aprile. Nelle ore seguenti si susseguono riunioni, durante le quali anche la Brigata “Casalgrandi” chiede di essere esonerata dalla liberazione di Modena e di rimanere ad operare nel proprio territorio. I comandi acconsentono.

Nel frattempo la ritirata delle truppe tedesche e fasciste dalla città e dalla provincia continua e si intensifica. Vengono lasciate indietro retrovie, alcuni presidi e reparti sparsi che per vari motivi non erano riusciti ad accodarsi alla ritirata principale.

Alle prime ore del 22 aprile il Comando della Divisione Modena II, d’accordo con il Comando Zona, invia l’ordine di occupazione della città. Da questo momento i Comandi provinciali e di Divisione avranno limitato controllo sulle operazioni, a causa della concitazione del momento, della velocità di evoluzione dei fatti e dell’estrema mobilità delle truppe tedesche.

All’occupazione non riescono ad unirsi la 15a Brigata d’Assalto “Diavolo”, la 11a Brigata d’Assalto “Ivan”, e anche alcuni reparti della Brigata “Mario” e del Distaccamento “Giuseppe”, perché vengono tagliati fuori dal passaggio di consistenti truppe tedesche a sud di Modena, in ritirata verso Campogalliano e Carpi. Non giungono in tempo nemmeno gli elementi del Raggruppamento “Aristide”.


Tentativi di attacchi partigiani ai presidi tedeschi sulla Statale 12 in Appennino

Con l’arrivo della primavera del 1945 il movimento partigiano sull’Appennino modenese aveva ripreso vigore: le condizioni atmosferiche erano migliorate, gli effettivi erano aumentati, la qualità degli armamenti era stata implementata e, di conseguenza, le azioni si erano intensificate.

Anche i rastrellamenti nazifascisti dei primi giorni di aprile avevano sortito uno scarso effetto.

Il 5 aprile il generale Clark, comandante di tutte le forze armate alleate presenti in Italia, comunica al Comando della Divisione partigiana Modena I (“Modena Montagna”) l’ordine di attaccare immediatamente il nemico, per supportare le azioni della V Armata Americana. Il Comando partigiano, pur notificando la limitatezza dei propri armamenti e delle munizioni, si impegna in nella direzione indicata.

L’8 aprile la missione alleata insediata presso la Divisione Modena I chiede al Comando di appoggiare un primo assalto da parte del Battaglione alleato contro i presidi tedeschi lungo la Strada Statale 12, previsto per il 10 aprile. Il Battaglione alleato era una formazione costituita tra l’Appennino reggiano e quello modenese alla fine di marzo e composta da una compagnia di paracadutisti inglesi, una compagnia di russi e un’ultima da partigiani reggiani: 300 uomini in totale.

Secondo i piani questo reparto, assistito da gruppi delle brigate partigiane Dolo, Santa Giulia, Scarabelli e Dragone, avrebbe dovuto assaltare i presidi tedeschi di Prignano, Moncerrato, Serramazzoni, Pavullo, Lama Mocogno, Mocogno, Cadignano e Montecerreto, in concomitanza con un attacco dell’esercito regolare alleato previsto in quella data tra il monte Cimone e l’Abetone.

Tuttavia, mentre le formazioni partigiane sono in marcia per avvicinarsi agli obiettivi, lo schieramento viene aggredito in più punti da consistenti forze tedesche, le quali erano con tutta probabilità state informate dell’iniziativa. Si registrano attacchi tedeschi nella zona di Lama Mocogno-Cadignano, in quella di Pianorso-Le Braglie, e persino dietro lo schieramento partigiano, nel territorio controllato dalle brigate Dolo e Santa Giulia. Quest’ultima formazione perde il proprio comandante, Mario Allegretti (Medaglia d’Oro al Valor Militare conferita alla Memoria), nell’ambito di questi combattimenti.

Le forze partigiane tentano di rispondere come possono a questa inaspettata mossa nemica. A volte difendendosi con successo, come alcuni reparti delle brigate Dragone, Scarabelli e Italia a Costrignano; altre volte tentando di contrattaccare. È questo il caso della Brigata Italia, la quale riesce a colpire il presidio tedesco di Sant’Andrea Pelago, e di elementi della Brigata Santa Giulia, che tentano il mattino del 10 aprile di attaccare il presidio tedesco di Moncerrato ma vengono respinti.

La reazione tedesca aveva potuto essere così immediata anche grazie al fatto che la prevista offensiva alleata simultanea nella zona dell’Abetone non aveva avuto luogo.

Questo elemento, insieme al fallimento del piano di attacco, contribuisce in quel momento a creare un clima di diffidenza e prudenza nei confronti degli Alleati e delle loro missioni presso i Comandi partigiani.


Rastrellamenti tedeschi sull’Appennino modenese all’inizio di aprile 1945

In seguito al pesante rastrellamento tedesco di gennaio 1945 nell’Appennino, le formazioni partigiane della montagna modenese si riorganizzano, e già a inizio febbraio le pattuglie delle Brigate Dolo e Dragone ricominciano ad attaccare mezzi tedeschi in transito sulle strade della zona.

Da quel momento si susseguono allora alternativamente, dall’inizio di febbraio alla metà di marzo, fasi di intensa azione da parte dei partigiani e rastrellamenti tedeschi, questi ultimi per la maggior parte con scarsi risultati.

Nella seconda metà di marzo le forze partigiane operano con migliori condizioni atmosferiche e vengono rinfoltite da un grande afflusso di nuovi militanti. Migliora anche il loro armamento: tramite reti interne di rifornimento e aviolanci alleati ottengono persino mortai di grosso calibro e bazooka, molto utili per affrontare i mezzi blindati nemici. L’attività bellica, pertanto, si intensifica.

Si effettuano operazioni contro il traffico tedesco sulla Strada Statale 12, vengono fatti saltare alcuni ponti e vengono assaltati i presidi tedeschi a Frassineti, Tressano, Gombola, Montecreto, Montecenere e La Santona. Questi ultimi due attacchi vengono portati a termine il 24 marzo da reparti della brigata Dragone in collaborazione con l’aviazione alleata.

La pressione generata dalle continue aggressioni partigiane crea agitazione e smarrimento tra le file nazifasciste: aumentano in maniera esponenziale le diserzioni.

Per porre un freno a questa attività partigiana e mettere in sicurezza il territorio immediatamente dietro al fronte, in prospettiva di un arretramento dello stesso, all’inizio di aprile i tedeschi organizzano una nuova serie di rastrellamenti.

Il 1 aprile 1945, giorno di Pasqua, le forze tedesche tentano di occupare la località di Gatta, nel reggiano, e la zona di monte Santa Giulia nel Modenese. Qui, e in particolare a Monchio, reparti delle brigate Santa Giulia, Dragone e Dolo respingono con il fondamentale contributo della popolazione locale le truppe del rastrellamento e, contrattaccando, le portano a ritirarsi nella zona di Prignano, da dove erano partite.

Il 3 aprile un rastrellamento fascista e tedesco colpisce la zona collinare di Torre Maina, frazione di Maranello. In quell’area operava la Brigata Mario Speranza, che viene pesantemente investita dall’azione nemica: alcuni reparti si ritirano verso l’altro, altri sciolgono le proprie formazioni e si portano in pianura. Nell’ambito di queste vicende cade anche il comandante della brigata: Chiaffredo Cassiani, nome di battaglia “Stop”.

Il 4 aprile i tedeschi tentano nuovamente di occupare monte Santa Giulia, ma vengono respinti, anche grazie al contributo dell’aviazione alleata.

Lo stesso giorno, più a sud, la 5a compagnia Alpenjäger attacca Boccassuolo, frazione di Palagano, che viene difesa con successo dai partigiani.


Rastrellamenti nella parte settentrionale della provincia di Modena e battaglia di Rovereto sul Secchia

In seguito all’attacco partigiano contro la caserma delle Brigate Nere a Concordia sulla Secchia il 24 febbraio 1945, la repressione tedesca e fascista sulla parte settentrionale della provincia di Modena si inasprisce. Nel mese di marzo, in particolare, la I, II e in parte la III Zona partigiana vengono colpite da pesanti rastrellamenti e numerose fucilazioni.

Nel corso di uno di questi rastrellamenti, iniziato il 16 marzo e riguardante i comuni di Mirandola, Cavezzo, Concordia sulla Secchia e San Possidonio (II Zona partigiana), le truppe si spingono verso il paese di Rovereto sul Secchia, frazione di Novi di Modena (I Zona partigiana), trovandovi però le formazioni partigiane pronte a combattere. Il 17 o il 18 marzo 1945 (le fonti sono discordanti) ha luogo perciò la Battaglia di Rovereto sul Secchia, uno fra gli scontri campali più importanti della Resistenza emiliana.

Il combattimento ha inizio quando i primi soldati tedeschi e fascisti passano il ponte sul Secchia tra Ponte Pioppa, frazione di San Possidonio, e Rovereto. Subito un gruppo di partigiani li attacca, e riesce ad attirarli alla portata del fuoco del grosso dei reparti partigiani, dislocato presso il cimitero di Rovereto. La battaglia prosegue, e nel tardo pomeriggio arrivano in rinforzo i gappisti e i sappisti di Soliera e delle frazioni di Migliarina, Fossoli e Budrione del comune di Carpi. Le forze della Resistenza, consistenti in quel momento di circa 600 unità, avviano un’azione offensiva, respingendo perfino due autoblindo tedesche che in un primo momento avevano posto i partigiani in difficoltà. I nazifascisti allora si ritirano, lasciando sul campo molti morti, fra i quali Armando Wender, vicecomandante della III Brigata Nera mobile “Attilio Pappalardo”, nonché in precedenza federale di Reggio Emilia.

Si tratta di una vittoria rilevante per lo schieramento partigiano, che registra però cinque caduti alla fine della giornata: Nevio Scannavini, Albano Modena “Michele”, Savino Forti, Eva Frattini e Remo Nasi.

Nonostante questo successo, i rastrellamenti continuano, e si dispiegano con particolare intensità e violenza sulla II Zona partigiana, nello specifico sul paese di Concordia sulla Secchia. L’organizzazione partigiana di quella zona viene colpita duramente dalla metà di marzo; ci si limita quindi a pensare essenzialmente alla sopravvivenza. Il movimento partigiano in quelle zone si riprenderà solamente nelle ultime settimane precedenti la liberazione.

Proprio a causa di questa intensificazione dei rastrellamenti e delle azioni nazifasciste molti partigiani di queste zone (la I in particolare) vengono inviati a fine marzo in montagna, dove è garantita maggiore sicurezza per loro stessi e per il movimento resistenziale in generale.

 

La battaglia di Rovereto sul Secchia su Resistenza mAPPe


Manifestazioni femminili di Concordia sulla Secchia e Camposanto e assalto alla caserma delle Brigate Nere di Concordia sulla Secchia

Il febbraio 1945 rappresenta il momento di più intensa attività dei reparti partigiani della I e II Zona partigiana della provincia di Modena, prima della fase di repressione del mese di marzo.

Venerdì 9 febbraio, nell’ambito di una distribuzione di minestra ai poveri da parte del comune di Concordia sulla Secchia presso le scuole elementari, viene organizzata dal movimento partigiano e dai Gruppi di difesa della donna una protesta femminile contro la guerra e il fascismo, e per una più equa distribuzione degli alimenti. La manifestazione si sposta poi di fronte al municipio, presso il quale viene interpellato il commissario prefettizio, che promette di impegnarsi per una maggiore distribuzione alimentare. Dal balcone del palazzo comunale Tommaso Caverni “Giuseppe” tiene il primo discorso pubblico antifascista e contrario alla guerra, davanti ad una piazza piena di persone. Le organizzatrici della protesta di Concordia sono Gina Borellini, Carlotta Buganza “Gianna”, Guesdina e Lilia Meschieri, Aldina Vincenzi, Mirca Moretti, Armandina Salata, Vanda Pini, Nida Buganza, Tilde Giovanelli, Marta Guicciardi, Fiammetta Bulgarelli, Rina Marazzie Luigina Provasi.

La protesta viene ripetuta il giorno successivo, con le medesime modalità, a Camposanto, presso il municipio sfollato in località Ca' de' Coppi. Alcune tra le principali promotrici della manifestazione di Camposanto sono Ilde Dondi, Licia Lugli, Ilde Vaccari e Afra Borsari.

Pochi giorni dopo si insedia presso le scuole elementari di Concordia sulla Secchia un consistente nucleo della III Brigata Nera mobile “Attilio Pappalardo”, la quale era stata scacciata da Bologna dai comandi tedeschi perché considerata eccessivamente violenta. Il movimento resistenziale decide di attaccare il presidio, per alleggerire la pressione nemica sull’area e per liberare alcuni partigiani prigionieri. All’operazione, tenutasi nella notte tra il 23 e il 24 febbraio 1945 e coordinata da Umberto Bisi “Omar”, vicecomandante della 65ª Brigata d’Assalto Garibaldi GAP “Walter Tabacchi”, partecipano circa 200 partigiani dei Distaccamenti GAP “Bruni” e “Aristide” e delle forze SAP della I e II Zona.

Nella notte si dispongono posti di blocco alle vie d’accesso al paese e vengono predisposti 4 settori d’attacco.

Alle ore 1:15 del 24 febbraio si dà inizio all’assalto, e vengono utilizzati contro l’edificio anche alcuni Panzerfaust forniti dalla III Zona partigiana. I fascisti si rifugiano allora nei sotterranei della scuola, e rifiutano le reiterate richieste di resa. Per evitare potenziali perdite eccessive in caso di continuazione, il comando partigiano decide alle ore 3:10 lo sganciamento di tutte le forze, senza aver raggiunto l’obiettivo di espugnare la caserma. Nel frattempo, anche alcuni dei posti di blocco avevano affrontato scontri con reparti nazifascisti, respingendoli.

Da parte dei partigiani non si registrano perdite, mentre le cifre più accreditate riportano tra i 6 e i 12 morti da parte fascista, anche se il dato non è ancora noto con esattezza.

Il giorno 25 febbraio i militi della Brigata Nera fucilano per rappresaglia tre concordiesi sul muro esterno del cimitero di Concordia: il partigiano Migliorino Frati “Franco”, di 19 anni, il partigiano Realino Silvestri “Turiddu”, di 19 anni, e il civile Duilio Borellini, di 46 anni.


Grande rastrellamento dell’Appennino modenese-reggiano del gennaio 1945

Dopo aver portato a termine, negli ultimi mesi del 1944, azioni contro i reparti partigiani delle montagne piacentine e parmensi, all’inizio di gennaio 1945 le forze tedesche danno inizio ad un grande rastrellamento nell’Appennino modenese-reggiano.

Al momento dell’attacco la Divisione partigiana “Modena” è ancora in corso di riorganizzazione, e conta circa 800 uomini armati e dotati di munizioni, ma con scarso equipaggiamento. Ciò costituisce un importante deficit in quella particolare situazione, dato che nei giorni precedenti alcune nevicate avevano lasciato oltre un metro di neve sui monti. I tedeschi, per contro, sono ben preparati: dispiegano truppe alpine e reparti di sciatori. Il loro obiettivo è quello di accerchiare le formazioni partigiane tra le proprie forze e la parte alta dell’Appennino, che in quel momento è inaccessibile. Il 6 gennaio le truppe tedesche raggiungono Talbignano, Ponte Cervaro, Pianorso, Palagano e Piandelagotti. Date le condizioni climatiche, il servizio di comunicazione e collegamento non funziona: i partigiani verranno a conoscenza solo tardivamente dell’operazione in corso.

Il primo attacco viene attuato la mattina del 7 gennaio nell’area dei monti S. Giulia e S. Martino. Hanno luogo combattimenti presso Ponte Cervaro, Poggio San Martino, Morano, Saltino e Monchio. Verso mezzogiorno una colonna tedesca si spinge fino a Frassinoro, e dopo alcuni scontri con i partigiani occupa il paese. Da lì i reparti tedeschi tentano avanzare a nord verso La Verna, frazione di Montefiorino, ma vengono respinti dalle forze partigiane. Data la situazione, al fine di evitare accerchiamenti, la sera del 7 gennaio il comando della Divisione “Modena” dà ordine alle brigate dipendenti di ripiegare verso Toano, nel reggiano, dove il giorno dopo si riesce a costituire una linea di difesa, impedendo ai tedeschi di penetrare nel territorio. Nel frattempo continuano gli scontri anche nel settore più settentrionale dei monti S. Giulia e S. Martino, dai quali i partigiani devono ritirarsi, dopo l’intervento delle artiglierie tedesche.

Il 9 i tedeschi tentano di prendere Quara, ma vengono respinti. Occupano però Toano e da lì, impegnandosi in una manovra di accerchiamento, puntano a nord su Cavola. I partigiani riescono tuttavia a disimpegnarsi. Occupato il 10 il paese di Gova dalle forze tedesche, e tenutosi un altro scontro in località Are Vecchie, il comando partigiano decide di ordinare ai reparti di sganciarsi, spostarsi a sud-est, trasferirsi a Medole, tornare nella zona modenese, passare il torrente Dragone e collocarsi a Boccassuolo di Palagano.

Il rastrellamento vero e proprio si conclude quel giorno, e le truppe tedesche lasciano le zone tra il 15 e il 20 di gennaio.

Le forze partigiane della Divisione “Modena” registrano in quei giorni 20 caduti e una quarantina di feriti.

Se da un lato la risposta partigiana a questo attacco evidenzia alcuni aspetti positivi (la stabilità generale delle formazioni, i combattimenti, la capacità di riorganizzarsi, l’abilità del Comando nel gestire la situazione); essa però mette anche in luce le carenze del movimento partigiano (la difficoltà nelle comunicazioni e nei collegamenti, la mancanza di equipaggiamento adeguato, l’incapacità del Comando di tenere contatti con tutti i reparti).

Ciononostante, già tra la fine del rastrellamento e gli inizi di febbraio il movimento riesce a riorganizzarsi e a riprendere le azioni.

Montefiorino dopo i rastrellamenti: la seconda fase della zona libera di Dana Portaleone, tratto dal sito E-Review - Rivista degli Istituti Storici dell'Emilia Romagna in Rete.


Seconda fase della zona libera di Montefiorino

Dopo il massiccio attacco tedesco di luglio-agosto 1944 contro la zona libera di Montefiorino, con il sopraggiungere dell’autunno le forze tedesche e fasciste si ritirano dalla zona montana e dal territorio di Montefiorino, non più strategicamente importante come lo era stato in precedenza. Vengono lasciati solamente alcuni nuclei a presidiare i punti chiave, come le strade che collegano le retrovie al fronte. A ciò fa seguito, dalla fine di novembre, una generale riorganizzazione sia militare sia “civile” del contesto partigiano nella zona. Si inaugura perciò la seconda fase della zona libera di Montefiorino, imperniata sull’esperienza di autogoverno delle amministrazioni democratiche comunali, costituite in estate e ancora attive a novembre. In questa nuova fase, che vede la collaborazione delle forze democristiane, comuniste, azioniste e socialiste, la zona libera è caratterizzata da un controllo pressoché completo da parte dei partigiani dal novembre 1944 fino alla fine della guerra, ad esclusione di un breve periodo nel gennaio 1945, quando un grande rastrellamento tedesco colpisce l’area. La zona libera vera e propria comprende la sponda sinistra del torrente Dragone e la valle del torrente Dolo, confinante a ovest con la zona libera reggiana. Altre porzioni di territorio come la sponda destra del Dragone, la valle del torrente Rossenna e il comune di Prignano sono controllati in parte, ma in maniera meno stabile e costante. La creazione della nuova zona libera è rappresentata simbolicamente dalla nascita del Comitato di Liberazione Nazionale della Montagna (CLNM), sorto in un’importante riunione a Civago tra il 29 e il 30 novembre 1944, nell’ambito di un’operazione di netta separazione tra gli organi civili e militari. Al suo servizio vengono istituiti un tribunale militare e un corpo di polizia. Il CLNM opera soprattutto sui comuni della zona libera: essenzialmente Montefiorino, Frassinoro, Prignano e Polinago. In questi ultimi tre vengono istituite stazioni della nuova polizia partigiana, che stabilisce il suo comando a Farneta di Montefiorino. Il tribunale militare si occupa invece di processare i nemici, i partigiani e i civili per reati sia militari sia civili, compito fino ad allora delegato alle singole formazioni partigiane.

Una delle attività più importanti del CLNM è quella di regolare gli intensi movimenti di migliaia di persone attraverso la zona libera e il loro passaggio del fronte, dotandosi di un centro di smistamento e di guide. Il CLNM si deve poi sobbarcare la gravosa gestione dell’approvvigionamento della popolazione e delle formazioni partigiane, compito che porta a termine interfacciandosi costantemente con il Comando della Divisione partigiana “Modena” e con le singole amministrazioni comunali.

Il CLNM si preoccupa anche di riaprire le scuole elementari, di concerto con le amministrazioni comunali.

Ci si cura inoltre dell’assistenza sanitaria nei confronti di cittadini e partigiani, che in quella situazione avevano difficoltà a raggiungere gli ospedali delle città di Modena, Sassuolo e Reggio Emilia: vengono creati e potenziati gli ospedali partigiani di Civago e Fontanaluccia, che aprono le loro porte anche ai civili.

Infine, il CLNM tenta di svolgere un ruolo di coordinamento e controllo sovracomunale nei confronti delle amministrazioni dei singoli municipi.

L’aiuto fornito dal CLN della pianura si dimostra, nonostante le numerose e reiterate richieste, insufficiente per soddisfare le esigenze della montagna.

Montefiorino dopo i rastrellamenti: la seconda fase della zona libera di Dana Portaleone, tratto dal sito E-Review - Rivista degli Istituti Storici dell'Emilia Romagna in Rete