La via della libertà di Civago

Durante il periodo della guerra, in particolare a partire dall’autunno 1944, sono molti i punti dove è possibile passare il fronte. Tali punti variano a seconda del periodo e anche della presenza di soldati tedeschi, che spesso sono disponibili a chiudere un occhio.

I passaggi del fronte avvengono su tutto il tracciato della Linea Gotica, ma quando il fronte interessa le zone montane, tale passaggio risulta difficile se non rischioso. Per questo motivo alcuni abitanti dell’Appennino, spesso dietro compenso, ma non sempre, si organizzano per fornire il servizio di guida. Tali servizi interessano soprattutto le montagne modenesi e reggiane, infatti nel bolognese e in Romagna, dove si concentra maggiormente l’avanzata alleata, tali passaggi non sono così frequenti. E proprio a nell’appennino reggiano, a Civago (punto naturale per passare il fronte) a partire dall’autunno 1944 tale servizio viene organizzato dai partigiani della 26ª brigata “Bagnoli”. Quattro sono i valichi utilizzati: il passo della Boccaia, il monte Spicchio, il passo delle Forbici e la bassa del Saltello.

L’organizzazione prevede la partenza dalla borgata di Ca’ Gianmarchi. Le guide riconosciute sono quattordici, tutti di Civago. A loro volta e secondo il bisogno, tali guide si avvalgono di aiutanti. Il percorso da compiere varia tra i 55 e i 60 chilometri.

Molti sono i gruppi che vengono organizzati, anche se quello partito il 13 febbraio 1945 ha un problema. Infatti, i 25 partigiani che devono passare il fronte, una volta giunti sotto il passo delle Radici, vengono abbandonati dalle tre guide prima di venire consegnarti all’altra guida che li avrebbe condotti in Toscana. Una delle guide accusate afferma che il gruppo arrivato poco sotto il passo delle Radici è stato fatto segno di molti colpi sparati dai tedeschi. Le tre guide hanno quindi deciso di lasciare i partigiani consigliando loro di valicare il crinale a piccoli gruppi, poi i tre sono tornati indietro. È accaduto invece che i partigiani, dopo due giorni, forse non conoscendo bene il territorio, sono rientrati a Civago e hanno denunciano il fatto.

Tale episodio spinge quindi il Comando unico della zona di Reggio Emilia, nel marzo 1945, a “istituzionalizzare” il servizio emettendo una circolare:

Allo scopo di inquadrare e regolare il servizio di Guida della zona di Civago alle linee alleate con attraversamento della linea nemica, questo comando – onde evitare ogni sorta di inconvenienti – stabilisce quando segue:

1) Le guide di Civago (quattordici) vengono riunite in squadra agli ordini del Capo guida, Gaspari Venanzio di Mansueto.

2) […] [Segue elenco delle guide]

3) Documento di riconoscimento delle guide: Ogni guida sarà munita di apposita tessera contenente le complete generalità della guida stessa e su cui sarà applicata la fotografia portante la firma dell’interessato ed i timbri del Comando Unico reggiano e della Missione inglese (Cap. Lees) con relative firme del Comandi stessi.

4) Compiti e doveri delle guide: Compiti: accompagnare dal posto tappa di Civago alle linee alleate persone (civili e partigiani) autorizzate dal Comando Unico di Zona o direttamente dalle missioni inglesi e rientrare al Comando tappa nel più breve tempo possibile […] Doveri: prima della partenza di ogni spedizione le guide destinate dal Caposquadra all’accompagnamento […] dovranno, presente il Capo squadra: riunire e spiegare ben chiaramente ai componenti la colonna le difficoltà o meno dell’itinerario, il numero delle ore di marcia necessarie ed accennare agli eventuali imprevisti richiamando, fin da tal momento l’attenzione di ognuno sulla necessità di disciplina durante la marcia, nonché sulla convenienza ad accettare quali ordini tutti i consigli delle guide stesse.[…]

7) I civili abbienti dovranno partecipare in parte o per intero a coprire la somma di L. 10.000, onde alleggerire i Comandi partigiani.

Venanzio Gaspari, capo delle guide civagine, ritiene che nei sei-sette mese in cui Civago ha rappresentato la tappa di partenza per la via della Libertà, le persone che hanno attraversato il fronte sono circa 15.000.


Le battaglie della Riva Ridge e del monte Belvedere

La notte del 18 febbraio 1945 inizia l’operazione “Encore” (fare il bis), quando la 10a divisione da montagna americana parte alla conquista dei monti della Riva, chiamati “Riva Ridge”.

Tale operazione rappresenta il primo passo della Quinta armata americana per conquistare lo spazio di manovra necessario per spingersi poi, il prossimo aprile, verso la pianura bolognese seguendo l’asse più corto e meno fortificato, questo alemo secondo l’intelligence alleata.

Quella notte i mountaineer dell’86° reggimento, suddivisi in piccoli gruppi guidati da civili e da partigiani della divisione “Modena Armando”, salgono il ripido dislivello seguendo quattro tracciati. Giunti nei luoghi convenuti, poco sotto le cime da conquistare, le guide rientrano alla base e il mattino presto gli americani assaltano il Cinghio del Burè, il monte Mancinello, il monte Serrasiccia, il monte Cappel buso e il pizzo di Campiano, cogliendo di sorpresa i tedeschi della 232a divisione che li difendono. Ma non tutto va come pianificato, infatti, il plotone della compagnia A, inviato a conquistare il pizzo di Campiano, dove si trova posizionato l’osservatore d’artiglieria tedesco – che fin dall’ottobre 1944 ha impedito agli alleati ogni tentativo di conquista del monte Belvedere –, lungo il difficoltoso sentiero si smembra e alla fine solo pochi soldati assaltano la cima, difesa da un numero quasi uguale di tedeschi. Viene quindi chiamata la compagnia B che ha preso il vicino monte Cappel buso. I soldati tedeschi, dopo un primo momento di smarrimento, contrattaccano. Il secondo contrattacco viene condotto dagli alpini del 4° battaglione d’alta montagna, i quali, con una manovra a tenaglia, tentano di riprendere il pizzo di Campiano e il monte Serrasiccia (le due estremità) per poi ricongiungersi al centro, ma il piano non riesce. Se su monte Serrasiccia i combattimenti terminano il 21 febbraio, sul pizzo di Campiano gli scontri durano fino al giorno 25, con alterne vicende.

Intanto, nonostante i problemi che stanno incontrando sul pizzo di Campiano, la notte del 19 febbraio reparti americani dell’85°e dell’87° reggimento assaltano il monte Belvedere, il caposaldo più importante nella zona, in quanto inibisce l’avanzata alleata lungo la statale 64 (Porrettana) e vero obiettivo della prima fase dell’operazione “Encore”.

Questa volta però i mountaineer non posso contare sul fattore sorpresa. Partiti da Querciola, gli americani devono superare le barriere di filo spinato ed estesi campi minati, per poi dare l’assalto alla cima. Le perdite sono alte, e comunque il mattino del 20 febbraio, grazie anche ai cacciabombardieri alleati, riescono a conquistare il monte Belvedere.

Ma l’azione non si interrompe, infatti gli americani continuano ad avanzare lungo il crinale verso nord, prendendo i monti Gorgolesco e Torraccia, coprendo di fatto, con l’attacco a quest’ultimo monte, l’azione dei soldati brasiliani contro il monte Castello, cima, che hanno inutilmente tentato di prendere l’autunno precedente; cima che conquistano il 21 febbraio.

Ancora una volta i tedeschi della 114a divisione e del battaglione alpino “Mittenwald” tentano di riprendere anche questo tratto di crinale, organizzando un contrattacco congiunto contro il monte della Torraccia e contro il monte Belvedere, ma il tentativo viene respinto.

Alla prima fase dell’operazione “Encore” partecipa anche la brigata “Matteotti montagna” che sotto il comando di un americano entra, senza incontrare resistenza, a Rocca Corneta.

L’operazione “Encore” si conclude il 5 marzo, quando la 10a divisione da montagna libera Castel d’Aiano e il monte della Spe, base da cui lanciare l’offensiva dell’aprile 1945.

Vicende e protagonisti della Riva Ridge sono ricordati nel museo Monti della Riva (www.montidellariva.it) a Trignano di Fanano.


Le battaglie di monte Carnevale di monte Battaglia

Il 3° battaglione della 36ª brigata “Bianconcini”, comandato da Nicoli, il 23 settembre 1944 non potendo più scendere in pianura, si dirige verso sud per facilitare l’avanzata degli americani, con l’intento di occupare monte Battaglia, luogo strategico, e monte Carnevale, ritenuto il punto di rottura della ritirata tedesca; inoltre invia una staffetta per avvisare gli americani dei piani elaborati. Il 26 settembre il fuoco dell’artiglieria americana, che bersaglia le retrovie tedesche, colpisce anche i partigiani che presidiano monte Carnevale, tanto che devono abbandonarlo. Il possesso della cima del monte è però strategico e così una compagnia partigiana la riprende scacciando i tedeschi che nel frattempo vi si sono stabiliti.

I tedeschi, grazie all’azione di un’unità del 577° reggimento (305° divisione tedesca) e del 44° reparto esplorante (44a “Hoch- und Deutschmeister”), riescono però a riconquistare la cima, anche se poco dopo la perdono sotto la spinta dell’attacco americano del 350° reggimento (88° divisione); subito dopo sulla vetta giungono anche i partigiani: è il mattino del 27 settembre.

Monte Battaglia, nello schieramento tedesco rappresenta il punto di confine tra le due armate, la Decima armata (a est): 305ª divisione e 98ª divisione, e la Quattordicesima armata (a ovest): 44a “Hoch- und Deutschmeister”, poi sostituita dalla 334° divisione, e la 715° divisione.

Dopo ripetuti solleciti i partigiani convincono gli americani a proseguire e prendere possesso di monte Battaglia che controllano. Nel frattempo, il mattino stesso, i partigiani respingono alcuni soldati tedeschi del 577° reggimento che, pensando non sia presidiato, avanzano tranquillamente per stabilirsi sulla cima; infatti, la cima è stata inspiegabilmente lasciata sguarnita; senza saperlo partigiani e americani sono riusciti a incunearsi nello schieramento tedesco creando una falla.

Sempre il 27 settembre gli americani raggiungono i partigiani sulla cima di monte Battaglia e li rilevano. A questo punto i partigiani si concentrano a presidiare il fianco ovest di monte Battaglia, nei pressi di monte Cappello.

Intanto i tedeschi ripartono all’attacco sia di monte Battaglia che di monte Cappello, questa volta con forze sufficienti, tentando di prendere la cima di monte Battaglia con una manovra a tenaglia, ma vengono respinti. Ci riprovano il mattino del 28 settembre attaccando la cima da tutte le direzioni con unità delle tre divisioni.

I tedeschi riescono a penetrare nelle difese partigiane, anche se poi gli stessi partigiani respingono l’assalto. Su monte Battaglia i tedeschi si infiltrano tra le postazioni americane, ma anche qui vengono respinti. Nel pomeriggio i tedeschi tentano un attacco in grande stile, i combattimenti sono furiosi e le perdite alte. Anche verso sera i tedeschi sferrano un altro attacco che dopo un successo iniziale viene respinto.

La sera stessa i partigiani vengono infine rilevati dai fanti americani e inviati nelle retrovie.

Il 29 settembre i tedeschi attaccano di nuovo e riescono a giungere fin dentro le rovine della rocca di monte Battaglia, ma, anche se faticosamente, vengono respinti.

Altri tentativi vengono compiuti dai tedeschi il giorno 30: tutti respinti, anche se ormai la falla nello schieramento tedesco è stata colmata.

Nel frattempo, il 29 settembre, il 351° reggimento (88a divisione americana) avanza verso monte Cappello e solo all’alba del giorno seguente riesce a conquistare la cima.

I tedeschi sono a corto di rinforzi e il 30 settembre fanno giungere alcune unità della 4ª divisione paracadutisti, mentre il giorno seguente arriva in zona anche un’unità del battaglione bersaglieri “Mameli” della Rsi.

Il 1° ottobre viene organizzato l’ultimo contrattacco tedesco, a cui partecipano anche i bersaglieri italiani, ma anche questo tentativo viene respinto.

A partire dal 4 ottobre i fanti americani su monte Battaglia vengono rilevati da un’unità della 1ª brigata britannica “Guards”.

Nei nove giorni della battaglia gli americani accusano 119 morti, mentre i caduti partigiani sono sette.

Si calcola che le perdite (morti e feriti) subite da entrambi gli schieramenti ammontano a circa 2.000.

Da menzionare che i tedeschi il 29 e il 30 settembre, nelle zone da dove partono per lanciare i contrattacchi a monte Battaglia, in tre riprese, uccidono sette civili e un partigiano.

Poi accade che gli alti comandi alleati, dopo il successo ottenuto a monte Battaglia, cambiano i piani di penetrazione verso la pianura, scegliendo di proseguire lungo la statale 65 del passo della Futa.

Davanti i resti restaurati della rocca di monte Battaglia nel maggio del 1988 è stato inaugurato il Monumento alla Resistenza, alla Liberazione e alla Pace fra i popoli. Nella vicina Castel del Rio esiste il Museo della Guerra Linea Gotica Castel del Rio (www.museodellaguerradicasteldelrio.it).


Monte Salvaro, l’ultima battaglia dei sudafricani prima della pausa invernale

L’avanzata della 6a divisione sudafricana nel bolognese si scontra con i reparti tedeschi della 16a divisione SS. Il 30 settembre 1944 inizia la battaglia di monte Catarelto, dove i soldati britannici della 24a brigata Guards (aggregata ai sudafricani) combattono contro il 35° reggimento SS. La cima viene conquistata il 5 ottobre e lo scontro è così duro che gli scozzesi dedicheranno alla battaglia una marcia militare per cornamusa. Poi è la volta di monte Vigese. L’azione inizia la sera del 3 ottobre, quando i sudafricani dei reggimenti Royal Natal Carbineers e Kimberly attaccano le pendici del monte. Questa volta di fronte hanno truppe del 36° reggimento SS. Il combattimento è aspro e i Royal Natal Carbineers, con un’azione a sorpresa, riescono a conquistare la cima il 6 ottobre. Ora i sudafricani si trovano a dover prendere monte Stanco, cima che domina Grizzana Morandi. La battaglia inizia l’8 ottobre, quando gli indiani del 13° reggimento Frontier Force Rifle conquistano la vetta per poi essere subito ricacciati indietro sempre da unità del 36° reggimento SS. Le azioni proseguono nei giorni seguenti con gli attacchi dei reparti sudafricani, dapprima quelli dei Royal Natal Carbineers, poi dei Witeatersrand Rifle/De la Rey e, infine, dei FirstCity/Cape Town che il 13 ottobre riescono a prendere la cima; si sono scontrati con reparti della 94a divisione di fanteria tedesca che nel frattempo ha rilevato le unità SS.

Ora i sudafricani devono prendere monte Salvaro, cima che li separa da Monte Sole, ultima barriera montuosa prima di Bologna.

Il monte Salvaro si compone di due cime: quota 826 metri, che si trova a nord, e quota 806, che si trova invece a sud; le due cime sono separate da una ripida e stretta cresta lunga circa novecento metri.

Nei piani sudafricani sono importanti anche la conquista di altri due monti che si trovano vicini: i monti Alcino e Termine. L’azione inizia il 19 ottobre, quando i sudafricani del reggimento Witwatersrand/de La Rey cercano di sorprendere i tedeschi. La prima vetta, quota 806, venne conquistata la mattina stessa. L’attacco poi continua, con l’assalto della seconda cima, anche se tutti i tentativi vengono respinti da unità della 94a divisione tedesca.

Il giorno stesso le unità scozzesi della 24a brigata Guards attaccano monte Alcino, che viene conquistato solo il giorno seguente.

Il 20 ottobre sono invece i tedeschi a contrattaccare la cima sud di Salvaro per ben due volte, ma anch’essi vengono respinti. Nel frattempo, sul versante occidentale del monte, unità del reggimento Witwatersrand/de La Rey riescono a raggiungere una casa (quota 604), molto vicina alla seconda cima di monte Salvaro.

La notte del 22 ottobre una compagnia del reggimento Kimberly attacca la seconda cima (quota 816); i violenti scontri durano tutto il giorno, arrivando anche a combattimenti corpo a corpo, finché due squadre sudafricane riescono a raggiungere la parte sud della vetta. Tutta l’unità venne poi sostituita dai Royal Natal Carbineers, che il mattino del 24 ottobre si spingono in avanti, riuscendo dopo duri scontri a prendere la cima e a consolidare così la posizione guadagnata dai Kimberly.

Solo dopo la conquista del monte Salvaro, anche gli scozzesi riescono, nella stessa giornata, a conquistare monte Termine.

Su monte Salvaro si ferma l’avanzata sudafricana prima della pausa invernale.

La battaglia di monte Salvaro è la più dura combattuta dai sudafricani nel corso di tutta la campagna d’Italia. Sulla cima del Salvaro la comunità di Grizzana Morandi ha in progetto di costruire un memoriale dedicato ai sudafricani.

A Castiglione dei Pepoli è possibile visitare il Centro di Cultura Paolo Guidotti di Castiglione dei Pepoli - Memoriale di Guerra Sudafricano (https://www.centroguidotti.com/memoriale-di-guerra-sudafricano/la-liberazione-di-castiglione/).


La liberazione di Predappio

Predappio è il paese natale di Mussolini e per questa ragione rappresenta un simbolo nell’immaginario collettivo dei comandi alleati.

In questo settore collinare avanzano i soldati del II Corpo polacco.

Il 25 ottobre i polacchi raggiungono San Savino, si trovano ora a solo un paio di chilometri dal paese.

Nella notte una pattuglia di soldati polacchi si spinge fino al paese, ma rientra poco dopo.

Quella notte una trentina di partigiani dell’8ª brigata “Romagna”, al comando di Giuseppe Ferlini, entra a Predappio e trascorre la notte nello scantinato del palazzo delle Poste, mentre il resto del 4° battaglione si sposta a Montemaggiore.

Il 26 ottobre i polacchi iniziano a occupare la parte sud di Predappio: zona chiesa e palazzo di Varano, mentre il distaccamento partigiano raggiunge i tunnel della fabbrica Caproni, dove si trova rifugiata la maggior parte della popolazione. Nel pomeriggio pattuglie polacche e tedesche si scontrano, mentre l’artiglieria tedesca inizia a cannoneggiare il paese. I polacchi ripiegano in direzione di San Savino. Ma altre unità polacche attaccano monte Mirabello, che viene conquistato dopo due giorni di battaglia, e poi proseguono verso Codigliano senza incontrare resistenza.

Il 28 ottobre, giorno in cui sarebbe dovuto iniziare il nuovo anno dell’Era fascista, i fucilieri polacchi del 18° battaglione Leopoli, 6ª brigata Lwowska¸ della 5ª divisione Kresowa, entrano in paese, mentre i tedeschi si ritirano da Taglio di Fiume: Predappio è libera.

Scrive il polacco Zaremba della 5ª divisione: “14 novembre, mercoledì. Nel registro dei visitatori di Predappio, dove si trovano le tombe della famiglia Mussolini, ci sono le firme del maresciallo Kesselring, del maresciallo Rommel, del presidente Antonescu. A chiudere il registro è un testo in italiano scritto dai polacchi che suona più o meno così: ‘Nel giorno della festa dell’Indipendenza della Polonia, a Predappio, città natale di Mussolini, affermiamo che la Polonia non è stata liquidata, come ha detto lui, al contrario, noi soldati polacchi abbiamo conquistato Predappio e portiamo la libertà al popolo italiano’. Seguono le firme del gen. Anders, del Comandante dell’8ª Armata, e del suo Stato Maggiore”.


Le stragi di Monte Sole

Monte Sole è un gruppo montuoso posto alla confluenza dei fiumi Reno e Setta, ultimo baluardo difensivo prima di Bologna. Lungo il crinale che da sud raggiunge Monte Sole avanzano i sudafricani che il 28 settembre 1944 raggiungono Castiglione dei Pepoli e due giorni più tardi iniziano la battaglia per la conquista di monte Catarelto, difeso da unità del 35° reggimento, della 16a divisione SS. È proprio la posizione strategica di monte Sole a far decidere agli alti comandi tedeschi di schierare su questo fronte, a partire dalla metà di settembre, tale divisione.

Monte Sole è anche il territorio in cui agisce la brigata partigiana “Stella Rossa”, che nel maggio precedente ha respinto un tentativo di rastrellamento operato dai tedeschi. Intanto la brigata partigiana ha stabilito il proprio comando nella zona di San Martino.

Vista la minaccia reale che le truppe SS in prima linea potessero venire accerchiate da sud dai sudafricani e da nord dai partigiani, i comandi tedeschi decidono di attuare un’operazione di rastrellamento, definita di “annientamento”, contro la brigata partigiana.

Dopo aver chiuso il perimetro attorno a monte Sole, all’alba del 29 settembre quattro compagnie del 16° reparto esplorante (16a divisione SS), sotto il comando del maggiore Reder, iniziano salire i pendii di monte Sole partendo dalla valle del fiume Setta, mentre altri reparti della 16a divisione SS e dell’esercito, da nord, da sud-ovest, si dirigono anch’essi verso la cima.

I tedeschi delle SS quando giungono nelle borgate che incontrano (tranne la prima) uccidono le persone: donne, vecchi e bambini (gli uomini si sono rifugiati nei boschi) e incendiano le abitazioni. Non vengono risparmiante neanche le persone rifugiate presso la chiesa di Casaglia, fucilate poi dentro il cimitero. Anche le persone rifugiate a Creda (29 settembre), nella chiesa di Cerpiano (29-30 settembre) e a San Martino (30 settembre) vengono uccise e gli edifici incendiati. Ma le stragi avvengono anche in altre località del gruppo montuoso.

A Cadotto muore Mario Musolesi, comandante della brigata partigiana, nel primo e violento scontro che prende avvio all’arrivo dei soldati tedeschi nella borgata.

I partigiani sono presi alla sprovvista, avendo scarse munizioni, infatti il lancio promesso qualche giorno prima non è avvenuto, reagiscono come possono. La maggior parte filtra tra le linee, solo pochi, e tra questi il cosiddetto battaglione russo (formato da ex prigionieri russi arruolati nella fila tedesche, passati da tempo ai partigiani) resiste su monte Abelle.

Nel frattempo reparti della polizia della 16a divisione SS rastrellano i versanti opposti dei fiumi Reno e Setta per catturare manodopera coatta. Dopo una sommaria selezione gli uomini abili vengono mandati a Bologna per essere poi inviati in Germania, alcuni vengono rilasciati, mentre quelli non giudicati abili vengono uccisi (Pioppe di Salvaro e Canovetta, 1° ottobre).

Nei giorni delle stragi di monte Sole sono 770 i morti, tra cui 216 i bambini sotto i dodici anni.

Monte Sole è la strage col maggior numero di vittime dell’Europa occidentale.

Il territorio della strage, tra il crinale di monte Sole e monte Caprara, dove si stabilisce la linea difensiva tedesca e monte Salvaro, raggiunto dai sudafricani il 24 ottobre, rimarrà fino alla primavera 1945 “terra di nessuno”, dove però le persone rimaste intrappolate dall’arrivo del fronte di guerra continuano a morire tra bombardamenti alleati e uccisioni da parte dei tedeschi.

Nel 1989 viene istituito il parco storico di Monte Sole, che apre il centro visita “Il Poggiolo”. Nel 1974, Luigi Fontana acquista la casa del Poggio e pochi anni dopo la abita stabilmente: è la prima persona a tornare a vivere a monte Sole. Nel 1985, nei pressi del cimitero di Casaglia, apre il monastero della Piccola famiglia dell’Annunziata (https://www.piccolafamigliadellannunziata.it/sede-di-montesole/), ordine fondato da Giuseppe Dossetti. Il suo corpo, assieme a quello di monsignor Gherardi, riposano dentro il cimitero di Casaglia. La maggior parte dei morti di monte Sole riposa invece nel Sacrario di Marzabotto. Dal 1953, sulla cima di monte Sole è presente il cippo alla brigata partigiana “Stella Rossa”. Nel 2002, vicino a San Martino, viene aperta la Scuola di Pace Monte Sole (https://www.montesole.org/). Infine, a Marzabotto, dal 2016 è attiva la Casa della cultura e della memoria e al suo interno è presenta il Centro di Interpretazione di Monte Sole (https://www.comune.marzabotto.bo.it/servizi/turismo/servizio-informazione-turistica). Invece nella stazione di Vado dal 2023 è possibile visitare il Museo Spazio Stella Rossa (https://spaziostellarossa.it/).


La battaglia di Monterumici

L’avanzata della 34a divisione americana procede lungo la displuviale tra i fiumi Setta e Savena, ma dopo essere entrati a Monzuno il 5 ottobre, viene arrestata prima ca’ di Giulietta e poi a Furcoli, dando il tempo necessario alle unità della 4a divisione paracadutisti di asserragliarsi su Monterumici, altura in linea con Livergnano e prospicente monte Adone di Brento.

Dopo un primo tentativo infruttuoso compiuto l’8 ottobre dal 135° reggimento della 34a divisione, i comandi americani riorganizzano il settore, spostando il resto della 34a divisione a est e facendo affluire in zona il Combat Command A (Cca) che viene aggregato al 135° reggimento unica unità che è rimasta.

L’11 ottobre iniziano gli attacchi americani contro Furcoli e ca’ di Bocchino, posti sulla linea a protezione di Monterumici e difesa dall’11° reggimento della 4a divisione paracadutista tedesca. Sono giorni di pioggia e di fango. Gli attacchi americani si susseguono, ma ogni tentativo viene respinto. Intanto il generale Clark non è soddisfatto delle prestazioni del 135° reggimento, tanto che il 16 ottobre scrive: “Sono molto deluso dalla 34a divisione, L’attacco del 135° [reggimento] a Monterumici è la prova della loro mancanza di volontà di combattere […] Ci sono molti anziani [veterani] nella 34a divisione […] Sono esperti e [allo stesso tempo] stanchi delle battaglie […] Questa è la divisione che da tempo chiede a gran voce di essere rimandata a casa. Non capiscono perché debbano combattere una battaglia dopo l’altra. I comandanti delle piccole unità sono scarsi e per un comandante di divisione e uno o due buoni leader è un compito arduo cambiare [l’atteggiamento dell’intera divisione. […] Non appena la battaglia sarà terminata, dovrò fare pulizia in quel reggimento”.

Il 16 ottobre, un’altra unità del Cca rileva il 135° reggimento e il giorno successivo attacca in direzione di Monterumici arrivando nella zona di Furcoli, ma un contrattacco li riporta alla partenza. Due giorni dopo gli americani ci provano di nuovo, ma i tedeschi riescono bloccare subito il tentativo. Le avanguardie americane rientrano solo a sera, dopo aver subìto ingenti perdite. Di fronte a loro combattono ora soldati del reparto esplorante della 16a divisione SS.

Il 18 ottobre, davanti a Monterumici si ferma l’avanzata americana in questo settore.

Riporta il bollettino della Quattordicesima armata tedesca:

“18.10.1944 [16a divisione SS] Nella zona di Monterumici […] ancora due attacchi condotti con il più forte appoggio dell’artiglieria furono respinti dal 16° reparto esplorante SS in [azione di] contrattacco. In 30 ore, la divisione ha così respinto un totale di 11 attacchi nemici condotti con il più forte supporto dell’artiglieria”.

Da questo momento in poi l’azione della 34a divisione americana prosegue contro monte Belmonte che viene attaccato il 16 ottobre. Il monte è difeso dal 71° reggimento della 29a divisione e dal 267° reggimento della 94° divisione tedesca. I combattimenti sono duri e solo il mattino del 22 ottobre il 133° reggimento (34a divisione) riesce a conquistare la cima.


La battaglia di monte Grande: a un passo dalla pianura

Nella strategia americana la conquista di monte Grande è importante, anche perché l’altura si trova a pochi chilometri dalla via Emilia.

In realtà monte Grande fa parte di un massiccio montuoso di cui fanno parte anche monte Cerere, che si trova a nord e Montecalderaro, ultimo baluardo prima della pianura.

Per questo motivo il generale Clark promette al comandante dell’88ª divisione americana la promozione in caso di vittoria. Scrive Clark: “E vi fu il giorno in cui visitai [il comandante dell’88a divisione] […] Gli dissi: ‘Bull, vede il Monte Grande lassù? Be’ la sua stella è su quella vetta […] Vada a prendersela”.

Il primo obiettivo del 349° reggimento è quindi la conquista di monte Cerere, altura che permette di attaccare monte Grande.

Il 18 ottobre 1944, dopo ben 158 missioni aeree contro il massiccio montuoso, e il fuoco di preparazione dell’artiglieria che spara più di ottomila colpi, il 1° battaglione del 349° reggimento (88a divisione) parte all’attacco di monte Cerere che viene preso all’alba del 20 ottobre.

Intanto la notte del 19 ottobre, il 2° battaglione dello stesso reggimento attacca monte Grande. L’avvicinamento è problematico, dopo un primo successo iniziale i tedeschi contrattaccano e respingono gli americani, comunque la cima viene presa il 20 ottobre.

Il prossimo obiettivo americano è la conquista di Montecalderaro. Infatti, la notte tra il 21 e il 22 ottobre il 3° battaglione del 351° reggimento, aggregato al 349°, parte all’attacco della cima che prende il mattino del 23 ottobre.

La conquista di Montecalderaro entusiasma il comando americano che vede la possibilità di arrivare alla via Emilia velocemente. Per questo motivo l’ordine è di prendere Vedriano.

Intanto i tedeschi lanciano ben due contrattacchi contro Montecalderaro che però vengono respinti.

La notte tra il 23 e il 24 ottobre il 2° battaglione del 351° reggimento attacca la località di Vedriano e la conquista. Tutto sembra volgere per il meglio, quando i tedeschi contrattaccano il paese e circondano gli americani facendoli prigionieri: ottanta soldati catturati.

L’operatore radio tedesco, trasmissione che viene intercettata dagli americani, comunica al suo comando: “Vedriano ripresa. Ottanta americani catturati”.

I tedeschi contro cui hanno combattuto gli americani sono il 361° reggimento della 90ª divisione, a cui sono stati aggregati i paracadutisti del 4° reggimento della 1a divisione.

La notte stessa gli americani tentano di riprendere Vedriano, ma vengono respinti.

Annota Clark: “La nostra offensiva morì lentamente e penosamente, quando era ormai giunta ad un passo (un lungo passo) dal successo, come il maratoneta che crolla allungando la mano verso il traguardo ma senza riuscire a toccarlo”.

Nel Villaggio della salute più è stato allestito il “Museo della Linea Gotica nelle nostre terre”.


La battaglia di Livergnano

Alla fine di settembre 1944, il comando americano dopo aver preso monte Battaglia cambia l’asse principale di avanzata spostandolo lungo la statale 65 del passo della Futa dove sta procedendo la 91a divisione.

Livergnano è il punto in cui la statale 65 attraversa il contrafforte pliocenico, una parete rocciosa alta un centinaio di metri. Il paese è dominato a ovest dall’altura su cui sorge la chiesa e a est dal monte Sconcola.

Il piano per conquistare Livergnano prevede che il 1° battaglione del 361° reggimento lo attacchi frontalmente, mentre il 2° deve raggiungere la località Bigallo (a est) e salire sulla cima dall’unico posto dove è possibile farlo. Una volta raggiunta la cima del contrafforte, il battaglione deve attaccare le altre alture in direzione del paese.

Il pomeriggio del 9 ottobre, la compagnia K (aggregata al 1° battaglione) si spinge verso Livergnano. Tutto sembra tranquillo, ma quando giungono alle prime case i tedeschi aprono il fuoco dal monte Sconcola. È una carneficina, i pochi sopravvissuti riescono a trovare riparo dentro due case, una sinistra e una a destra della strada: un’abitazione di quattro piani, entrambe poste all’ingresso del paese. Gli americani hanno però le radio fuori uso. I soldati combattono furiosamente per scongiurare gli assalti dei tedeschi, fin quando nella piazza arriva un cannone semovente che inizia a sparare. Ai soldati non rimane che asserragliarsi al piano terra.

Verso sera una pattuglia di americani, dotata di radio, raggiunge i compagni asserragliati nell’edificio a quattro piani.

Intanto, alle sei del mattino del 10 ottobre il 2° battaglione si dirige verso Bigallo e inizia la scalata, ma i soldati una volta giunti in vetta vengono bersagliati dai cecchini tedeschi; i primi soldati giunti sull’altura trovano riparo dentro un lieve avvallamento, mentre gli altri devono retrocedere e rifugiarsi appena sotto il bordo del contrafforte. Tutti i successivi tentativi di raggiungere la sommità vengono respinti, lasciando isolati gli uomini che sono saliti per primi.

Nel frattempo la compagnia B riceve l’ordine di prendere monte Sconcola. Pur essendo in ritardo il comandante decide di avanzare ugualmente. Quando i soldati arrivano alle prime case del paese vengono investiti da un nutrito fuoco d’interdizione che costringe l’avanguardia a rifugiarsi nella casa a sinistra della strada, dove si trovano altri americani della compagnia K.

I tedeschi chiedono la resa o col semovente distruggeranno l’edificio. Ai due comandanti intrappolati non rimane che arrendersi; tra l’altro stanno finendo le munizioni.

Alle 10,45 del mattino (11 ottobre), dopo tre di combattimento, ormai senza più munizioni, gli americani bruciano i documenti, mettono fuori uso la radio e si arrendono: sono 81.

Intanto il mattino stesso la compagnia A tenta di dar manforte agli americani asserragliati in paese cercando di conquistare l’altura a ovest. Il tentativo riesce anche se gli americani devono trovare riparo nella chiesa, ma sotto l’azione di un carro armato tedesco riescono a ritirarsi, scampando alla distruzione dell’edificio.

Il 12 ottobre la compagnia B è pronta ad attaccare monte Sconcola, nel frattempo i mezzi anticarro americani sparano sulla cima ben 300 proiettili, coadiuvati dai cacciabombardieri, mentre l’artiglieria spara circa 8.000 proiettili nell’intero settore. Il paese è un inferno e il contrafforte arde come stesse bruciando.

Sotto questo imponente fuoco d’artiglieria gli uomini della compagnia B arrivano fin davanti le postazioni tedesche e quando l’artiglieria cessa il fuoco le assaltano, non dando ai tedeschi il tempo di uscire dai loro rifugi.

All’alba del 13 ottobre i soldati attaccano la cima e la conquistano. Dopodiché anche le altre compagnie rimaste bloccate possono avanzare e conquistare l’intero settore; nel frattempo i tedeschi si ritirano.

Non si conosce il numero preciso dei morti americani, ma sono davvero molti. Qui si ferma l’avanzata americana lungo la statale 65.

A Livergnano è possibile visitare il Museo Winter Line ricavato dentro un garage scavato nella roccia del contrafforte pliocenico (https://www.facebook.com/LivergnanoWinterLineMuseum/?locale=it_IT).


La battaglia di ca’ Guzzo e la strage di Sassoleone

La reazione tedesca è immediata. Il mattino seguente l’80° battaglione del genio (44a divisione “Hoch- und Deutschmeister”) giunge a ca’ Cosellini e incendia le case, poi si dirige a Sassoleone che circonda. I primi civili vengono uccisi nelle proprie abitazioni che poi vengono incendiate. In seguito, altri civili vengono allineati davanti al campanile e fucilati, infine i tedeschi fanno esplodere il campanile. Le vittime sono 23.

Il mattino del 26 settembre la 1a e la 3a compagnia della 36a “Bianconcini”, comandante da Gaudenzi (successore di De Giovanni) e Poli si stabiliscono quindi a ca’ Guzzo e ai Casoni di mezzo, controllando l’accesso alla valle del Sillaro. Inoltre De Giovanni si incontra con Proni (comandante della 62a “Camicie Rosse”) per stabilre un patto di reciproca assistenza, infine quest’ultima brigata si schiera a guardia del versante di Monterenzio.

Il 27 settembre unità della 44a “Hoch- und Deutschmeister” raggiungono Nuvolare di Sopra per attaccare la 62a “Camicie Rosse”. Proni prende l’iniziativa e contrattacca i tedeschi, ma l’azione viene respinta. Intanto i partigiani di Gaudenzi e De Giovanni catturano un prigioniero tedesco il quale confessa che i partigiani si trovano nel bel mezzo della ritirata tedesca.

Intanto i tedeschi del 956° reggimento (362a divisione) giungono nell’aia di ca’ Guzzo e la assaltano, ma i partigiani respingono il tentativo. Ben presto però scoprono di essere accerchiati. I partigiani discutono della situazione e decidono di avvertire la 62a “Camicie Rosse” che avrebbe potuto prendere i tedeschi alle spalle. De Giovanni e tre partigiani escono da ca’ Guzzo, nel frattempo è iniziato l’attacco tedesco. I partigiani dentro la casa resistono, intanto De Giovanni giunto ai Casoni di mezzo invia una staffetta per avvisare la 62a “Camicie Rosse”, ma nessuno partigiano li raggiunge. A quel punto lo stesso De Giovanni, con i pochi partigiani presenti, tenta ugualmente l’azione che sorprende i tedeschi creando un varco nello schieramento. I partigiani dentro ca’ Guzzo, quelli che riescono a camminare, decidono per la sortita, ma non tutti vi riescono. Il mattino del 28 settembre i tedeschi irrompono nella casa e catturano i presenti. Allontanate le donne, gli 11 uomini rimasti vengono allineati davanti al letamaio e fucilati. Sono 14 i partigiani caduti in combattimento.

Nel libro della 362a divisione tedesca la battaglia viene definita come “la più grossa difficoltà per schierarsi sulla nuova linea difensiva […] I partigiani […] difendendosi da postazioni fortificate, inflissero severe perdite ai nostri soldati e ci volle un attacco pianificato di tutto un battaglione per avere ragione della loro resistenza”.

A ca’ Guzzo è presente un memoriale dedicata alla battaglia, mentre nella vicina Castel del Rio esiste il Museo della Guerra Linea Gotica Castel del Rio (www.museodellaguerradicasteldelrio.it).