Una dura rappresaglia fascista: l’eccidio della Certosa di Ferrara

Nelle due notti dell’11 e del 20 agosto del 1944, i fascisti passano per le armi nove oppositori del regime presso la Certosa di Ferrara, infliggendo un duro colpo alla Resistenza ferrarese.
La cronaca lucida, drammatica e minuziosa delle tragiche ore che portano alla strage della notte di San Lorenzo è tramandata nel diario del cappellano delle carceri cittadine, don Lelio Calessi. Con le sue parole, definisce quella notte “la più emozionante” di tutta la propria vita, pur dopo avere assolto al “triste calvario” del suo dovere.
La narrazione inizia alle ore 22:00 di giovedì 10 agosto: due funzionari suonano il campanello di don Calessi, perché vi è un ammalato grave in Questura. La giornata è stata scossa dall’uccisione nel pomeriggio – con cinque colpi di pistola – del maresciallo di Pubblica Sicurezza Mario Villani, fascista convinto che sta indagando sulle cellule comuniste nella fabbrica “Gomma Sintetica” – antenata della Montedison – e nella zona di Cocomaro di Focomorto. Si temono rappresaglie, e così avviene nella notte.
Il prelato giunge in Questura con l’Olio santo, ma non vi è alcun ammalato: nell’andirivieni caotico di quei locali, viene a sapere di dover assistere alcuni uomini che saranno passati per le armi, arrestati da Villani – o su sua indicazione – per azioni e propaganda antifascista nelle zone d’indagine del maresciallo. La “larva di processo notturno” per “conferire una parvenza di legalità ad una condanna” inizia alle 2:30: don Calessi esegue le funzioni religiose agli otto condannati al “barbaro supplizio”.
Gli antifascisti, legati a coppie, sono poi condotti al “muricciolo” della Certosa: “io ero più morto che vivo”, prosegue così la cronaca di don Calessi. Alle 4:45 di notte, il plotone giustizia i primi quattro antifascisti. Il prigioniero Jovanti Balestra riesce a liberarsi e a fuggire dal secondo gruppo, evitando i colpi d’arma da fuoco dei questurini che sbarrano l’accesso alla Certosa – all’angolo su via Borso e via Guarini – rischiando di spararsi tra loro. E neppure i tedeschi sanno qualcosa dell’esecuzione, aggiunge don Calessi: la scarica di una mitragliatrice sulle Mura degli Angeli nella direzione della Certosa fa correre ai ripari i questurini stessi sotto al porticato del cimitero monumentale.
Destino Sivieri Tersillo, Guido Droghetti, Amleto Piccoli, Gateano Bini, Guido Fillini, Romeo Bighi, Renato Squarzanti perdono la vita. Gli esecutori provano ripugnanza a trasportare le salme: “Hanno avuto il coraggio di ammazzarli, non hanno avuto il coraggio di portarne le salme in camera mortuaria” commenta il dott. Baldi, medico delle carceri.
Un altro componente del gruppo di arrestati, Mario Bisi (nome di battaglia Augusto), muore suicida in quella stessa notte nei locali della Questura: questa è la versione ufficiale, mentre è ammanettato. Durante le torture di un feroce interrogatorio, si autoaccusa dell’omicidio di Villani, con molta probabilità senza esserne il diretto responsabile.
Ma la rappresaglia fascista non si ferma nella notte dell’11 agosto. Nove giorni dopo, il 20 agosto, altri due appartenenti alla cellula comunista, Donato Cazzato e Mario Zanella – arrestati su indicazione di Villani dopo la sua morte – sono fucilati nello stesso luogo presso il muro della Certosa.

 


La liberazione di Ferrara

Il racconto dei giorni che portano alla Liberazione della città di Ferrara il 24 aprile del 1945 è vissuto in prima persona dal partigiano Giorgio Franceschini, membro del Comitato provinciale clandestino di Liberazione Nazionale: ne lascia testimonianza sulle pagine dell’«Avvenire Padano» il 23 e 24 aprile del 1960.
Il 22 aprile del 1945 gli Alleati sono ormai alle porte di Ferrara, e il timore è quello di un nuovo, imminente bombardamento su una città già duramente colpita. Sul fronte opposto, invece, la Wehrmacht si mostra decisa a mantenere, a ogni costo, il controllo di Ferrara. Mentre sui muri e nelle strade appare il primo, vero volantino dell’insurrezione a firma del CLN provinciale, proseguono gli scontri tra partigiani e nazifascisti in città. È però vivo tra la popolazione il terrore di un ultimo bombardamento, soprattutto dopo le tragiche notizie che arrivano da Argenta e Portomaggiore, praticamente rase al suolo dalle operazioni aeree alleate.
Le sorti di Ferrara sono nelle mani di monsignor Ruggero Bovelli, “pastor et defensor”, già intervenuto a seguito dei tragici fatti della nota “lunga notte” del 1943: è l’azione risoluta dell’Arcivescovo a salvare “con ogni probabilità Ferrara da un massacro”, così scrive Franceschini. Nella lettera che fa pervenire a McCreery del Comando alleato, grazie a don Govoni, parroco di Cona, si legge che Ferrara è deserta: le truppe liberatrici desistono così da un ulteriore attacco aereo. Allo stesso tempo, monsignor Bovelli raggiunge anche il comando tedesco, stanziato nel Castello Estense, con la richiesta di cessare ogni opposizione. L’invasore ascolta le parole dell’Arcivescovo, e, ben conscio dell’avanzata alleata, lascia Ferrara, ritirandosi verso Nord: subirà gravi perdite prima di riuscire ad attraversare il Po. In città cala la notte, quando le fiamme illuminano il pieno centro storico: è il “rogo sinistro” che avvolge il Palazzo della Ragione. Il corrispondente del «Corriere Alleato» addita ai tedeschi la responsabilità dell’incendio – ipotesi mai verificata – e la distruzione del ponte sul Po di Volano, ultimo tentativo di rallentare l’avanzata alleata.
L’indomani, 23 aprile, i gruppi di partigiani, chi più e chi meno organizzato, vanno alla caccia dei militari tedeschi rimasti in città, rivolgendosi soprattutto contro i “franchi tiratori” nazisti. Un comunicato della 35ª Brigata Rizzieri parla di dodici partigiani caduti nell’arco della giornata: sono ore di incertezza. Il CLN si raduna nel Palazzo Arcivescovile insieme a monsignor Bovelli, mentre la popolazione si nasconde nei più disparati rifugi.
L’8ª armata inglese e un contingente indiano, provenienti da est, sono infatti alle porte della città, e all’alba del 24 aprile è pronto a varcare il Ponte di San Giorgio, nel giorno del Santo Patrono di Ferrara. I tedeschi, invece, sono in rotta verso il Grande Fiume. Franceschini e il CLN accolgono i generali alleati sullo scalone del Municipio, sventolando la bandiera italiana: alla città è annunciata la Liberazione, e la gente esce finalmente dai rifugi festante. Ferrara torna così a vivere. “Chi ha vissuto quelle ore le ricorderà per sempre”, scrive ancora Franceschini, “riappariva la speranza, al suono delle cornamuse scozzesi in Piazza Cattedrale e nel tripudio della Festa solennissima del Santo Patrono: la speranza di una nuova Italia”.