La battaglia di Porta Lame
All’inizio di novembre del 1944, mentre si fa sempre più remota la possibilità che Bologna venga liberata prima dell’arrivo dell’inverno, la città diventa il perno attorno cui le forze nazifasciste radicano una politica di strenuo controllo del territorio capace di tenere lontana qualunque ipotesi di ulteriore sfondamento della Linea Gotica. Nel frattempo, infatti, il fronte delle Romagne lungo la costa adriatica era stato già liberato dagli Alleati verso fine di settembre. Bologna si trova ad essere sempre più al centro delle vicende belliche e per questo il suo tessuto urbano viene continuamente sorvegliato e ispezionato. Il 7 novembre del 1944 la città deve fare i conti con un rastrellamento che prende avvio sin dalle prime luci dell’alba. Quella mattina alcuni reparti di forze militari fasciste e tedesche iniziano un’operazione nell’area compresa tra Via del Porto, Via Carlo Alberto (ora Via don Minzoni), Piazza Umberto I (ora Piazza dei Martiri), Via Galliera e Viale Pietramellara.
Quella zona, fortemente danneggiata dai bombardamenti e per questo disabitata, è in realtà il luogo dove trovano rifugio circa 300 partigiani della 7° Gap Brigata Garibaldi Gianni. Nascosti all’interno di due basi clandestine, molti di loro avevano raggiunto la città nel corso del mese di ottobre ed erano restati in attesa degli ordini per un’insurrezione che avrebbe dovuto precedere il momento della Liberazione.
La base del Macello è la prima ad essere scoperta. Dislocata in due palazzine in apparenza deserte, si trova subito sopra le sponde del canale Cavaticcio. Attaccati con armi leggere e pesanti, i circa settanta partigiani qui presenti rispondono con un immediato fuoco di sbarramento, in grado di controbattere efficacemente il nemico. Dopo sette ore di combattimento, le forze nazifasciste chiedono e ottengono l’arrivo di ulteriori rinforzi: un cannoncino anticarro, un cannone 8,8 cm ed un carro armato.
La sproporzione di numeri e mezzi obbliga gli assediati ad abbandonare le proprie posizioni: dopo aver gettato fumogeni per coprire la propria fuga, scendono nel canale Cavaticcio e cominciano a risalire la corrente verso via Roma (oggi via Marconi). Una volta giunti in Piazza dei Martiri rompono l’accerchiamento nemico e si disperdono.
Nel frattempo, gli oltre 200 partigiani appostati tra le rovine del vecchio Ospedale Maggiore in via Riva Reno aspettano solo un segnale per agire. Alle 18 parte la controffensiva: diverse squadre d’azione escono dalla base e convergono verso Porta Lame dove si trovano concentrate la maggior parte delle forze nazifasciste che, prese di sorpresa, soccombono alla pressione dei partigiani che riescono, così, a disperdersi. A Porta Lame la Resistenza bolognese dà grande prova di sé, ma da quel giorno in avanti si aprirà la fase più difficile di quello che viene spesso definito il Lungo Inverno.
Evasione da San Giovanni in Monte
Costruito nel XIII secolo, al fianco dell’omonima chiesa nel centro di Bologna, il complesso di San Giovanni in Monte è, fino all’epoca napoleonica, sede del convento dei Canonici Regolari Lateranensi. Tramutato in carcere giudiziario nel 1897, mantiene la medesima funzione fino agli anni Ottanta del Novecento, prima di diventare – così com’è attualmente – sede del Dipartimento di Storia dell’Università di Bologna.
Nei venti mesi di occupazione nazifascista della città, è il principale luogo di detenzione per i prigionieri politici arrestati dalle autorità della Repubblica Sociale Italiana e dell’Aussenkommando, il comando locale delle SS. Nel periodo compreso tra l’8 settembre 1943 e il 21 aprile 1945 vengono reclusi circa settemila tra detenute e detenuti: partigiani, gappisti, renitenti alla leva e civili vittime dei vari rastrellamenti attorno alla città. Molti di loro, fino all’autunno 1944, vengono uccisi al Poligono in via Agucchi o nel cosiddetto “luogo di ristoro dei Partigiani”, in Piazza Nettuno, dove oggi è eretto il Sacrario. Durante il “lungo inverno”, invece, dal carcere vengono prelevate le vittime degli eccidi di Sabbiuno (14, 23 dicembre 1944) e San Ruffillo (10 febbraio-16 marzo 1945). Parallelamente ai prigionieri politici, il carcere di San Giovanni in Monte è utilizzato – in particolare nel periodo compreso tra l’autunno 1943 e l’estate 1944 – come luogo di detenzione di circa un centinaio di ebrei bolognesi, destinati prima ai campi di transito di Fossoli e Bolzano, e poi ai campi di concentramento e sterminio del sistema concentrazionario nazista. Nell’estate 1944 San Giovanni in Monte diventa teatro di una delle più spettacolari, e meglio riuscite, operazioni della 7° brigata Gap. Sono circa le dieci di sera del 9 agosto 1944 quando dodici uomini si presentano alle porte del carcere a bordo di due auto Fiat 1100: di questi, tre di loro indossano divise dell’Aussenkommando, cinque hanno quelle delle Brigate Nere fasciste, corpo ausiliario delle forze armate della RSI. I restanti quattro, invece, sono partigiani arrestati nel corso di una delle tante ronde serali. Nessuno degli operatori del carcere aspetta detenuti ma, sono mesi di guerra civile in una città occupata, e non sempre ci sono i tempi per procedere secondo forma. Scesi dalle auto gli otto militari portano, strattonando, i quattro detenuti e si fanno aprire il cancello: imbavagliano i secondini, tagliano i cavi telefonici e si fanno consegnare le chiavi della sezione maschile. I tre in divisa nazista sono, in realtà i partigiani Bernardino Menna, Lino “William” Michelini e Arrigo Pioppi. I cinque in divisa delle Brigate Nere sono i partigiani Massimo Barbi, Nello Casali, Bruno Gualandi, Vincenzo Sorbi e Roveno Marchesini. I quattro partigiani arrestati Giovanni Martini, Renato Romagnoli, Dante Drusiani e Vincenzo Toffano. Sono tutti membri della 7° GAP. Nel giro di pochi istanti aprono le celle della sezione maschile del carcere: evadono circa 340 detenuti. Di loro, la stragrande maggioranza, riprende o inizia la lotta armata contro i nazifascisti: chi tra le fila dei gappisti in città, chi nelle brigate di montagna, la Resistenza bolognese vede ingrossare le proprie fila. La speranza è che sia arrivato il momento dell’attacco decisivo, da sferrare nell’autunno 1944: la realtà, però, sarà molto diversa.