Una strage prima della Liberazione: i X Martiri di Porotto
Tra il 24 marzo e il 21 aprile del 1945, poco prima della Liberazione, dieci giovani delle frazioni limitrofe al capoluogo di Porotto e Fondo Reno sono trucidati dai nazifascisti, in una vicenda che lascia ancora oggi tanti punti interrogativi, ma riveste un momento molto importante della storia della Resistenza nel Ferrarese.
Nella casa di Porotto dei coniugi Bruttomesso, il 24 marzo del 1945, è in corso un incontro clandestino operativo della Federazione del Partito Comunista ferrarese, con lo scopo di intensificare l’azione bellica delle Squadre di azione Patriottica. Sono presenti Giorgio Malaguti, Luciano Gualandi, Ugo Costa, Giuseppe Piva, Spero Ghedini. A causa di una delazione, durante la perquisizione della casa dove sono rifugiati, alcuni partigiani fuggono attraverso i campi, ma altri vengono individuati durante il controllo al piano superiore. I militi della Guardia Nazionale Repubblicana riescono ad arrestare Costa, già capo di Stato Maggiore del Comando Gruppo Brigate Ferrara, e durante l’inseguimento colpiscono a morte Giorgio Malaguti (di Galliera, detto il “Biondino”), mentre è arrestato anche Luciano Gualandi. Spero Ghedini e Giuseppe Piva riescono invece a fuggire. Il paese di Porotto è rastrellato dai nazifascisti, alla ricerca dei fuggitivi, ma senza esito. Il 25 marzo Costa e Gualandi, già torturati, sono condotti nel luogo della cattura e, senza alcun giudizio, fucilati da un plotone.
A pochissimi giorni dalla Liberazione la lista dei trucidati si allunga. Anche se la vicenda lascia ancora punti da chiarire, ci si può servire della ricostruzione di Antonella Guarnieri basata sulla testimonianza di Albertino Rossi nel libro Fermati a pensare prima di dire o di fare (2004): egli è il nipote di una delle vittime di quel 21 aprile del 1945, Quinto. Questi dà rifugio a tre uomini, che verso la fine di marzo si presentano come partigiani: sono nascosti in una buca profonda scavata in un campo di canapa. Il 20 aprile tre persone, insieme a soldati tedeschi, chiedono di Quinto, che nel frattempo si è rifugiato nella buca, e maltrattano la famiglia: Alla fine, guidati dai fascisti, i nazisti trovano Quinto e lo riportano a casa: ma il giorno dopo, il 21 aprile, Quinto non c’è più. È riverso per la strada, a un centinaio di metri dalla sua abitazione, insieme ad altri cinque cadaveri, tutti legati per le mani, fucilati alla schiena e poi alla testa: sono Egidio Artioli, Cesare Artioli, Renzo Artioli, Dino Manfredini, Giancarlo Massarenti, mentre Tonino Pivelli è ucciso poco lontano, in via Catena, nella campagna della famiglia Veneziani. Sono tutti giovani tra i 17 e i 33 anni, di ideologie politiche diverse. La causa di questa frettolosa rappresaglia, con gli Alleati che nel frattempo avanzano velocemente, sarebbe da ricercare nell’aiuto fornito a quei tre partigiani, che partigiani non sono, bensì “tre fascisti venuti da fuori”, così scrive Albertino Rossi.
Non si sa ancora con certezza perché siano stati catturati, in quel giorno, proprio loro, in modo così brutale. L’ipotesi è che ci fosse una lista di un centinaio di antifascisti da eliminare nella rapida e disordinata ritirata tedesca dal Ferrarese. Gli studi, tuttavia, avanzano per fare chiarezza su un episodio chiave della storia di questo territorio.
La memoria, però, non è mai andata persa, soprattutto all’interno della comunità delle due frazioni. Il ricordo dei dieci martiri è perpetuato nei tre monumenti commemorativi e nelle targhe di Fondo Reno e Porotto.
Antonella Guarnieri, scheda dell’eccidio di Porotto. Atlante delle stragi nazifasciste