La strage delle famiglie Baffè e Foletti di Massa Lombarda
All’inizio degli anni ’30 la zona di Massa Lombarda ospitò la Federazione provinciale del PCI, numerose riunioni clandestine e un centro stampa. Giuseppe (Pippo) Baffè era il segretario della sezione locale che era stato condannato prima nel 1928, poi nel 1939 rispettivamente a tre e cinque anni di carcere per “appartenenza comunista e propaganda sovversiva”. Tutta la sua numerosa famiglia, fratelli e figli condividevano la sua militanza ed erano perciò noti in paese per il loro impegno antifascista. Nell’ultimo anno di guerra si erano molto esposti per l’appoggio e il ricovero dato spesso ai partigiani.
Così, quando la mattina del 17 ottobre 1944 una pattuglia tedesca casualmente entrò in conflitto a fuoco con una squadra di partigiani sul podere dei fratelli Baffè, provocando una vittima da una parte e dall’altra, i tedeschi decisero per un’ampia rappresaglia in quella zona insidiosa e le Camicie Nere del posto non ebbero dubbi nell’indicare il caseggiato da colpire.
Intorno alle 6 di mattina l’abitazione dei Baffè fu circondata da una pattuglia tedesca affiancata da cinque brigatisti che entrarono in casa con la forza; poi tutti i maschi furono messi al muro insieme a due sfollati che avevano trovavano riparo provvisorio nel caseggiato, un giovane garzone e un adolescente “tripolino” adottato dai Baffè. Le otto donne e due bambine presenti in casa e tirate giù dal letto furono separate e rinchiuse in cucina, mentre i tedeschi legavano gli uomini e li caricavano sui camion con cui portarli in caserma a Massa Lombarda per essere interrogati. Intorno alle ore 10 riapparvero i sei brigatisti: Mario Reiner il loro comandante si fece consegnare dai vicini un cartone e un pennello con della vernice per scrivere in italiano e in tedesco “Qui abitava una famiglia di partigiani, assassini dei tedeschi e dei fascisti”. Lo affigge poi sul cancello all’ingresso della casa, mentre il camion con gli uomini, visibilmente bastonati, sta rientrando sul cortile. Mentre i fascisti completano il saccheggio di masserizie, viveri e biancheria ai due ragazzi più giovani viene imposto di scavare buche in prossimità dei muri portanti della casa per collocarvi alcune cariche esplosive.
Dopo un ultimatum per chiedere informazioni su altri partigiani nascosti in zona, rimasto senza risposte, cominciò la fucilazione dei dieci componenti della famiglia Baffè, comprese tre ragazze di 24, 25 e 28 anni accusate di fare le staffette e di dare da mangiare ai partigiani. Insieme a loro furono trucidati due braccianti di 19 e 60 anni che stavano lavorando in quei campi, i due sfollati, due garzoni e un civile, capitato casualmente sul posto per l’acquisto di vino. In tutto 22 persone. Poi furono fatte brillare le cariche e distrutta la casa. Altre donne presenti furono considerate estranee e malamente allontanate. Verso le ore 13 il massacro sembrava concluso, ma la rabbia dei nazifascisti si rivolse ancora contro la casa colonica vicina abitata dalla famiglia Foletti. Qui uccisero ancora quattro uomini e un garzone; per ultimo il più anziano di loro, ormai novantenne, uscito gridando dalla casa incendiata, fu infilzato con un forcale da lavoro e gettato tra le fiamme ardenti.
La strage destò grande impressione nel paese, pesando a lungo l’incertezza se si fosse trattato di un’azione premeditata, oppure di una rappresaglia realmente conseguente alla prima sparatoria.
A cura di
Giuseppe Masetti
Istituto storico di Ravenna