Rappresaglia fascista del Ponte degli Allocchi
Fu una rappresaglia decisa interamente dai vertici del Fascio repubblicano di Ravenna quella che vide l’uccisione intimidatoria di dodici ostaggi per vendicare la morte di un brigatista nero per mano di un gappista pochi giorni prima. Nel corso dell’estate 1944, con il fronte ancora fermo nelle Marche, la lotta partigiana non aveva ancora un progetto di scontro aperto e di insurrezione contro le forze nazifasciste: si limitava agli atti di sabotaggio ed a colpire le personalità più in vista del regime.
In seguito ad una lunga sequenza di attentati, e relative rappresaglie, il Gap volante del giovane partigiano Umberto Ricci, detto Napoleone si mise sulle tracce del noto brigatista Leonida Bedeschi che puntualmente passava ogni giorno su un ponte ai margini della città. Una staffetta partigiana avrebbe dovuto solo indicarglielo, nel pomeriggio del 18 agosto, poiché Napoleone non conosceva di persona Bedeschi.
Ma quando il brigatista, soprannominato “Cativeria” dai suoi stessi camerati per la brutalità con cui interrogava i prigionieri, passò vicino ai due gappisti, Napoleone estrasse la sua pistola ed uccise sul posto il Bedeschi. Poi, mentre fuggiva in bicicletta, fu però intercettato a poca distanza da una automobile con alcuni soldati tedeschi a bordo che, immaginato l’accaduto, lo arrestarono e lo consegnarono ai militi della Brigata Nera. Per alcuni giorni Ricci fu sottoposto a severi interrogatori e varie sevizie per fargli rivelare i nomi degli altri gappisti, che non furono però mai confessati.
Ritenendo allora che non bastasse la condanna esemplare di Napoleone per intimidire una città ritenuta ostile il comandante della Brigata Nera Giacomo Andreani, insieme al Capo della Provincia Emilio Grazioli, al Questore Neri e al Segretario federale Pietro Montanari, decisero di attuare una vasta rappresaglia, arrestando in pochi giorni, e condannando a morte senza alcun processo, altre undici persone, ritenute sovversive e pericolosi soggetti antinazionali. Tra queste in primo piano una giovane operaia dell’azienda Callegari, Natalina Vacchi, che si era molto esposta a capo di recenti scioperi nella sua fabbrica. Furono poi arrestati tre addetti alla tipografia clandestina di Conselice, un professore cattolico aderente al Partito d’Azione, un responsabile della rete comunista ed altri giovani singolarmente conosciuti per le loro idee antifasciste.
All’alba del giorno 25 agosto furono portati tutti sullo stesso ponte ove era stato ucciso Cativeria e fucilati contro il muro di una casetta in dieci; Natalina Vacchi e Umberto Ricci furono impiccati per ultimi a due pali del telegrafo piantati per l’occasione.
I corpi delle vittime rimasero esposti per tutta la giornata e fu impedito ai famigliari di avvicinarsi. Tra di loro figuravano però i nomi di alcune personalità molto note in città che godevano di grande stima, motivo per cui a giustificare la rappresaglia che aveva destato notevole indignazione in Ravenna i fascisti pubblicarono qualche giorno dopo un manifesto dal titolo “Legittima difesa” nel quale screditavano i condannati e presentavano la loro fine come un atto dovuto da parte dell’autorità fascista.
Umberto Ricci, nei giorni della sua detenzione, era riuscito a scrivere due toccanti lettere alla madre, fatte uscire clandestinamente dal carcere e pubblicate da Einaudi diversi anni dopo fra le “Lettere dei condannati a morte della resistenza italiana” a cura di Giovanni Pirelli.
A cura di
Giuseppe Masetti
Istituto storico di Ravenna