Le ultime rappresaglie nazi-fasciste e i bombardamenti sulla città
In coda agli imponenti rastrellamenti invernali della 162ª Divisione Turkestan che hanno costretto le formazioni partigiane alla smobilitazione, causato centinaia di morti, feriti, deportati, gli apparati repressivi della Rsi al comando del Capo della provincia Alberto Graziani si danno alla sistematica caccia dei maggiori esponenti della Resistenza, a cui seguono la loro eliminazioni o la consegna al SD tedesco per la deportazione nei KZ del Terzo Reich. Catturati con l’aiuto di spie prezzolate vengono passati per le armi, dopo sommario processo del Tribunale speciale: il 26 gennaio, Giovanni Lazzetti “Ballonaio”; il 6 febbraio, il vicecomandante della Divisione “Giustizia e Libertà” Alberto Araldi “Paolo”; il 9 febbraio, don Giuseppe Borea, cappellano della 38ª Brigata Divisione Val d’Arda. Da metà febbraio, i responsabili locali della Rsi collaborano attivamente ad una pratica fino ad allora usata dai nazisti, la decimazione dei prigionieri politici per rappresaglia, in spregio ad ogni legge di guerra. Il 14 febbraio sono condotti a Ca’ del Bosco (RE) 10 carcerati, fucilati il 28: fra di loro, Gino Rigolli del Cln provinciale. Il 10 marzo, in 15 vengono prelevati per rappresaglia dalle carceri piacentine e 13 di loro giustiziati con un colpo alla nuca a Coduro di Fidenza: perdono la vita il presidente e due componenti del Cln di Caorso. Il 21 marzo, Alberto Graziani ordina la fucilazione di 10 partigiani al muro del cimitero di Piacenza, dichiarando di vendicare così l’uccisione del predecessore Antonino Maccagni, in mano ai partigiani dall’estate, giustiziato agli inizi di gennaio ‘45 e per il quale aveva rifiutato ogni accordo di scambio; le famiglie apprendono dai manifesti affissi sui muri della città della loro morte.
Entro metà febbraio ’45 i comandi tedeschi decidono di trasferire a Piacenza il Kampfgruppe Binz, un gruppo da combattimento di SS italiane (comandanti tedeschi e soldati italiani optanti per la Germania dopo l’8 settembre ’43), con un reparto armi pesanti e unità di supporto, con il compito di dirigere il controllo repressivo del territorio assumendo il progressivo comando di tutti i reparti militari della zona, sostituire le truppe rastrellanti della Turkestan, ripristinare i presidi in collina, proteggere i pozzi di petrolio e i depositi carburante tra la val Luretta e la val Trebbia e, soprattutto, tener sgombre le principali vie di transito utili alle manovre tedesche. Il comandante Siegfried Binz è un militare di carriera pluridecorato, già operativo sul fronte orientale, dove si è macchiato di crimini contro i civili: alle sue dipendenze vengono posti 2-3000 effettivi, comandati a contrastare i continui attacchi partigiani. Infatti, dalla seconda metà di febbraio del 1945, si assiste alla decisa ripresa dell’attività partigiana, resa faticosa sia dall’aggressività dei nazifascisti, sia da motivi interni, quali la necessità di riorganizzare Brigate e Divisioni tenendo conto degli errori commessi, la conseguente nascita del Cvl, la ridefinizione del Comando unico e della composizione del Cln, turbate dalle tensioni politiche in atto. Le formazioni prendono il nome degli eroi caduti: la Brigata “Inzani” di Pippo Panni che passa in val d’Arda, la “Fratelli Molinari” di Gino Bianchi; in val Nure le Brigate assumono il nome di “Gianmaria Molinari” e “Mack”. Emilio Canzi è temporaneamente esautorato dal comando di zona a favore di Luigi Marzioli per una indebita intromissione dall’alto.
Le azioni partigiane sono continue e temerarie, volte a sabotare i rifornimenti e il transito di mezzi sulle principali arterie, procurare armi e mezzi alla Resistenza e contrastare il controllo dei paesi con scontri durissimi, dall’esito incerto e, fino a marzo inoltrato, mai definitivo, predisponendo e modificando in continuazione gli schieramenti in modo da tamponare le sortite del nemico e poi incalzarlo.
A cura di
Carla Antonini, Elisabetta Paraboschi
Isrec- Istituto di storia contemporanea di Piacenza