Il clima del terrore: la rappresaglia nazifascista di Filo
La ricostruzione dei tragici fatti che tra il 7 e l’8 settembre del 1944 sconvolgono la comunità di Filo, frazione a cavallo tra Argenta (Ferrara) e Alfonsine (Ravenna), è affidata alla preziosa voce delle testimonianze, tra cui quella di Libero Ricci Maccarini: membro del Comitato di Liberazione Nazionale del luogo, ricorda l’accaduto nelle sue memorie, intitolate Dal Palazzone (1983).
Tutto inizia nella serata di giovedì 7 settembre. Un gruppo di tedeschi si intrattiene nella residenza dei Tamba, forse perché a conoscenza di una visita dei partigiani – almeno così rispondono alla padrona di casa e all’inserviente –, di un incontro tra Antonio Tamba e i partigiani, a cui il movimento di Resistenza aveva chiesto sostegno finanziario. Proprio nei pressi dell’abitazione scoppia uno scontro tra i nazisti e i partigiani: nel trambusto della sparatoria, racconta Ricci Maccarini, la paura più grande per i civili è che sia rimasto ucciso un tedesco. È quello che avviene.
La rappresaglia degli invasori è immediata, e inizia il rastrellamento, casa per casa e con posti di blocco. I tedeschi occupano immediatamente l’osteria del paese – dove, in una stanza sovrapposta, si è da poco conclusa una riunione del Cln: il posto è sicuro perché frequentato anche da nazisti e fascisti. Sotto la minaccia dei fucili tedeschi, e già ferito a un piede, l’oste Enrico Nuvoli è costretto a rivelare i nomi degli abituali avventori: alcuni di loro sono notoriamente compromessi con il fascismo.
All’interno dell’osteria sono trascinate le persone fermate: quattro minorenni sono rilasciati, mentre i restanti ventuno catturati sono trasportati nell’edificio che ospita le scuole di Argenta. La scelta dei dieci condannati a morte è affidata dal Comando tedesco a tre gerarchi fascisti, il cosiddetto “Triumvirato della morte”: tra questi vi è anche Enrico Dalla Fina, segretario del fascio locale, da sempre sostenitore dello squadrismo e crudele esecutore, che nella zona ha instaurato un vero e proprio clima di terrore tra la popolazione.
I gerarchi segnano in rosso, sulla lista, i nominativi dei giustiziati. Circa alle ore sedici di venerdì 8 settembre, il camion con i ventuno prigionieri parte dalle scuole di Argenta in direzione di Filo. Si ferma sul Ponte Bastia: sull’argine sinistro del Reno, a lato della Statale Adriatica, i primi cinque prigionieri sono uccisi con un colpo di pistola alla nuca. Sono Casimiro Beppino Andalò, Alfonso Bellettini, Alfredo Bolognesi, Antonio Coatti, Felice Diani. I loro corpi devono essere un monito per i passanti, fin quando le autorità concedono ai familiari di rimuovere le salme.
Il camion, con i sedici prigionieri restanti, prosegue sulla sua strada, per terminare la rappresaglia al crocevia di Filo. Con la stessa modalità del colpo alla nuca sono uccisi Luigi Matulli, l’oste Enrico Nuvoli, Amerigo Quattrini. Paolo Matulli, invece, riesce a convincere i tedeschi di essere uno sfollato di Faenza: è liberato, e al suo posto è condannato Arturo Soatti: poco importa, per i nazisti, che questi sia iscritto alla Rsi. Per due volte il diciottenne Giorgio Marconi, il più giovane, riesce a schivare, con il veloce scarto della testa, le pallottole: è afferrato per i capelli e giustiziato con un colpo alla bocca.