Codigoro: dal dramma delle “fasanare” al giorno della Liberazione

Il 22 aprile del 1945 finalmente Codigoro è libera. I nazifascisti, catturando degli ostaggi, abbandonano il paese, dopo aver fatto saltare il ponte sul Po di Volano in un vano tentativo di ostacolare l’avanzata alleata. Ed è proprio dalla darsena che si avvicina una camionetta di militari della brigata Cremona insieme agli inglesi, sventolando la bandiera italiana: gli ultimi invasori tedeschi sono messi in fuga dai colpi di mitra.

La guerra è giunta al termine, ma la felicità non può cancellare i lunghi mesi di dittatura e di repressione, simboleggiati dalle “fasanare”, le carceri di Codigoro situate a fianco del Municipio. Qui sono imprigionati i tantissimi antifascisti, che dopo l’Eccidio del Castello Estense stanno riorganizzando la lotta per la Liberazione nelle Valli, ma anche semplici sospettati: 368 persone tra il 27 novembre del 1944 – con l’inizio degli arresti di massa – e il 23 marzo del 1945 sono incarcerate nelle fasanare. In queste prigioni, il cui nome ricorda i serragli per la custodia dei fagiani, le torture sono invece tra le più atroci, soprattutto nel mese e mezzo di permanenza della squadra politica al comando di Carlo De Sanctis, fascista asservito al volere tedesco. Tra i detenuti occorre ricordare il liceale Ludovico Ticchioni di Mestre, comandante partigiano della 35a Brigata “Bruno Rizzieri”, ucciso insieme a Gino Villa nella piazza del paese, all’alba del 14 febbraio del 1945, sotto una falsa promessa di liberazione e dopo essere sopravvissuto agli interrogatori.

Il 22 aprile, dunque, l’incubo delle fasanare è giunto al termine. I nazifascisti scappano frettolosamente e disordinatamente da Codigoro e con loro trascinano alcuni ostaggi durante la fuga, dal momento che le carceri sono ormai vuote, grazie all’intervento del pretore Giovanni Zizak, nelle notti del 19 e del 20 aprile del 1945. Nel giorno della Liberazione di Codigoro, tra i prigionieri dei nazifascisti in rotta c’è anche Bruno Paolati, marito di Olga Fabbri e residente sulla strada che dal paese porta a Mezzogoro. La giovane moglie, reggendo la piccola figlia in braccio e tenendo per mano la più grande, dodicenne, prega i rapitori di liberare il marito, ma è colpita da una raffica di mitra di fronte alle due figlie e ai familiari. Il gesto eroico di Olga Fabbri sarà poi ricordato da Giancarlo Pajetta, che consegnerà alla figlia maggiore Liliana Paolati una medaglia in onore dalla madre durante una celebrazione nel teatro di Codigoro. La vicenda rimarrà anche nella cinematografia: il gesto di Olga ispirerà il personaggio di Pina (Anna Magnani), uccisa mentre insegue il marito imprigionato su un camion dai tedeschi, nel film Roma città aperta di Roberto Rossellini (1945).

Prima della fuga e dell’arrivo degli Alleati, i tedeschi hanno anche posizionato delle cariche esplosive intorno al luogo storico dell’Abbazia di Pomposa, risalente al IX secolo e già adibita con bunker, lungo la strada Romea. Durante la notte è il parroco di Codigoro, don Vincenzo Turri, a scollegare i cavi elettrici. Sono così evitati la rovinosa distruzione dell’antico complesso benedettino e ulteriori danni al patrimonio storico, artistico e architettonico del Ferrarese.


A cura di

Nicolò Govoni
Istituto di Storia Contemporanea di Ferrara

Data dell'evento

Domenica, 22 Aprile 1945

Luogo dell'Evento


• Fasanare: piazza di Codigoro • Episodio di Olga Fabbri: alle porte del paese, sulla strada per Mezzogoro (verso Nord) • Abbazia di Pomposa: a Est di Codigoro, in direzione del litorale

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