La Camera Confederale del Lavoro di Bologna
Contadini e operai svolgono un ruolo centrale nella Resistenza: sia nella lotta armata tra le fila delle brigate partigiane sia con gli scioperi e le azioni di sabotaggio contro possidenti terrieri e industria bellica. Nel bolognese, già nella prima metà del 1944 si segnalano diverse agitazioni, su tutte lo sciopero generale indetto il 1° marzo 1944 che blocca le fabbriche cittadine e gli scioperi di braccianti e mondine del giugno 1944 nelle zone di Medicina, Molinella, Galliera, Baricella, S. Pietro in Casale, Budrio, Malalbergo e S. Giovanni in Persiceto. A caratterizzare i primi mesi del 1944 sono azioni condotte – sulla falsariga dell’epoca prefascista – da organismi di categoria come i “Comitati di agitazione sindacale di fabbrica” e i “Comitati di Difesa dei Contadini”. Agitazioni che, nel contesto bellico, non si caratterizzano, esclusivamente, per le rivendicazioni salariali ma assumono connotazione politica: indeboliscono l’autorità fascista e colpiscono la produzione bellica. Mentre, quindi, nel bolognese le azioni di contadini e operai sabotano la guerra nazifascista, a livello nazionale avviene una svolta che non ha precedenti nella storia sindacale italiana. Nello stesso periodo in cui le organizzazioni locali organizzano scioperi e sabotaggi, infatti, nella Roma ormai prossima alla Liberazione, il 3 giugno 1944 il socialista Emilio Canevari, il comunista Giuseppe Di Vittorio e il democristiano Achille Grandi sottoscrivono la “Dichiarazione sulla realizzazione dell’unità sindacale”: con il cosiddetto “Patto di Roma” viene istituita Confederazione Generale Italiana del Lavoro (CGIL). Dopo quasi vent’anni non solo rinasce il sindacato libero, dopo l’imposto scioglimento delle leggi fascistissime, ma la nuova organizzazione ha, per la prima volta, carattere unitario, superando le divisioni che avevano caratterizzato il periodo compreso tra la fine dell’Ottocento e i primi anni Venti. Lo spirito sindacale unitario si diffonde a Bologna nel momento più duro della guerra: nell’autunno 1944 il proclama Alexander (13 novembre) trasforma il centro cittadino in una trappola per i partigiani; l’appennino e la pianura sono teatro di rastrellamenti e stragi; nelle campagne continuano le razzie di macchinari, bestiame e prodotti agricoli. Ma, se da un lato, la lotta partigiana più che arrendersi si assesta e si trasforma, dall’altro, per quanto possibile, proseguono riunioni clandestine – anche a carattere sindacale – in abitazioni private e in luoghi non sospettabili, come ex conventi e locali dell’Università. Nel corso di una di queste riunioni segrete, nell’ex convento di Santa Cristina – oggi sede del Dipartimento di arti visive dell’Università di Bologna – tra il 10 e il 13 novembre 1944 rinasce la Camera Confederale del Lavoro di Bologna. Fondata nel 1892, e fortemente contrastata nel periodo liberale, con l’avvento del fascismo vive la sua fase più complessa: la sede viene incendiata il 24 gennaio 1924, fino allo scioglimento imposto nel 1926. All’atto di ri-fondazione viene nominata anche una commissione provvisoria composta, nello spirito unitario, da tre comunisti, tre socialisti, tre democratico cristiani, un repubblicano, un azionista e da Clodoveo Bonazzi, esponente del “sindacalismo” e segretario della CCdL bolognese durante l’ascesa del fascismo.